Il Museo Regionale di Messina, già "Museo Nazionale", passato alla Regione Siciliana in applicazione dell'autonomia isolana, fu concepito dopo il 1908
nei locali di un'antica filanda di seta, nella spianata di San
Salvatore dei Greci (all'incrocio tra viale della Libertà e viale
Annunziata) per accogliere quanto di artistico era stato possibile
recuperare dalle macerie della città.
Le sezioni museali sono organizzate in modo da offrire, attraverso
le testimonianze artistiche, un quadro cronologico della ricca storia
culturale di Messina attraverso i secoli. Ospita, tra le opere più
importanti, quelle dei numerosissimi artisti messinesi e poi Il Polittico di San Gregorio ed un'altra tavoletta bifronte di Antonello da Messina e due tele di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, la Resurrezione di Lazzaro e l'Adorazione dei Pastori.
Il Museo ospita inoltre una ricca mostra permanente degli argenti messinesi, a testimoniana delle straordinarie capacità artistiche degli argentieri messinesi.
Quasi concluso il trasferimento nei moderni locali del nuovo Museo, adiacenti ai vecchi.
Nel Museo sono presenti cospicui esempi della produzione marmorea. A maestranze bizantine appartengono il capitello cilindrico con foglie d’acanto, palmette e girali, e il capitello corinzio con trafori e fregi geometrici a losanghe nell’abaco.
Ad artisti d’epoca normanna (secolo XI) è attribuita la coppia di pilastrini con iscrizioni cufiche e motivi fitomorfi. Un secolo dopo fu eseguito il fonte battesimale di Gandolfo, firmato e datato (1134),
con quattro testine lavorate a mezzo tondo. Sempre nello stesso periodo
a maestranze normanne è attribuito il capitello marmoreo con motivo
decorativo a foglie d’acanto e viticci, mentre il capitello
con uccelli e volti umani, che riproduce una tipologia di base
largamente usata nelle chiese e nei chiostri del tempo, è di gusto gotico.
Proveniente dalla chiesa di San Nicolò e attribuita a maestranze locali quattrocentesche, si trova la esposta l’acquasantiera con raffigurazioni di santi a mezzo busto lungo la fascia esterna.
Inoltre, nell’atrio interno del Museo sono stati ricomposti alcuni
portali, provenienti da chiese distrutte, come quello trecentesco della
chiesa di Santa Maria della Scala, con tralci di vite e grappoli d’uva
nella fascia degli stipiti e nell’architrave. Invece, il portale, con colonne di fusto scanalato su alta base decorata con motivo a grottesca e girali fitomorfi, il sarcofago,
con ornamentazione zoomorfa e nastriforme alternata ad erme, e la
lapide marmorea con mostri marini appartengono al XVI secolo e mostrano
spiccato gusto tardo-manieristico.
Sempre riguardo alla produzione marmorea si ricordano, infine, i
pannelli lavorati a mischio, opera di maestranze messinesi, che seppero
accordare ai timbri locali esperienze cromatiche e
prospettico-illusionistiche del barocco romano e napoletano. Una
quantità notevole di tali tarsie a marmi policromi, testimonianza
residua della ricchezza decorativa degl’interni delle chiese cittadine
fin dagl’inizi del Seicento, venne raccolta nel Museo dopo il sisma.
I disegni dei pannelli, pur nelle varietà compositive, mostrano una
medesima tipologia: su una superficie piatta, senz’alcun rilievo, si
dipanano con accentuato pittoricismo motivi floreali e fogliacei entro
cui s’inseriscono scene a sfondo prospettico, stemmi, attributi
iconografici connessi alla liturgia e simboli allegorici
dell’ortodossia cattolica, alternati spesso a putti e testine alate di
cherubini disegnati su marmo bianco.
La tecnica di tale tipo di lavorazione in pietra è antichissima; già Plinio la descrive nella Naturalis Historia
(XXXVI, 51), allora gli elementi collocati secondo uno schema
geometrico, in un secondo tempo si adottarono anche motivi floreali e
zoomorfi e la lavorazione ad incastro s’affiancò a quella della
giustapposizione.
Fra gli arredi sacri sono notevoli: un graduale inedito del 1481
opera di un frate dalmatico, proveniente dalla chiesa di Santa Maria di
Gesù Inferiore, la tonacella con ricami di pavoni, testine ed uccelli
in seta policroma su fondo avorio, il paliotto detto della Ciambretta del secolo XVII lavorato a ricami con fili d’oro ed argento,
perline, coralli e pietre dure, i settecenteschi paliotti in lamina
d’argento e rame sbalzato, la croce astile del secolo XVII con il
Crocifisso e l’Immacolata in lamina d’argento lavorata a sbalzo e
cesello, il braccio reliquario di Sant’Alberto dei secoli XVI e XVII,
il reliquario a forma di croce in argento e cristallo di rocca, il
settecentesco ostensorio in argento e rame dorato con globo sormontato dal pellicano.
Opera di maestranze messinesi quattrocentesche sono ancora la croce
astile in bronzo con figure di profeti e di santi incise su smalti e la
pisside, datata 1614, lavorata a sbalzo e a cesello, inedite entrambe.
Dalla bottega di Francesco Donia proviene il calice, datato 1667,
riccamente lavorato con testine alate, scudi ovoidali, cartocci
alternati a corone e foglie lanceolate nel bordo della base. Opera di
maestranze locali sono anche i diademi in argento dorato dei secoli XVI
e XVII. Infine, sempre della seconda metà del secolo XVII e proveniente
dalla chiesa di San Paolo, è la pregevole Croce in bronzo e corallo che
presenta molti riscontri con esemplari analoghi di scuola trapanese.
Non esposti ma da ricordare sono ancora il paliotto – in lamina
d’argento lavorato a sbalzo e con rilievi a tuttotondo d’angeli
reggicorona con scene della vita di San Benedetto entro riquadro
centrale polilobato e ritratti di Santi dell’ordine in medaglioni ovali
(1714) – e la testa di Santo (Camillo o Gaetano) in argento rifinito a
bulino del secolo XVIII.
Ottima sistemazione ha trovato invece la berlina del senato
messinese, proveniente dal Palazzo Senatorio, lavorata ad intagli e a
tuttotondo con fregi in legno dorato, opera pregevole di Domenico Biondo, con scene dipinte a fresco da Letterio Paladino.