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Il dissesto finanziario si ha quando un Comune non è più in
grado di assolvere alle funzioni ed ai servizi definiti indispensabili
e quando nei confronti dell’Ente esistono crediti di terzi ai
quali non si riesce a far fronte con il mezzo ordinario del ripristino
del riequilibrio di bilancio né con lo strumento del debito fuori
bilancio. Un apposito Organo nominato dal Presidente della Repubblica
si occupa del passato redigendo un piano di estinzione con il quale
viene azzerata la situazione patologica che ha creato il dissesto,
mentre L’Ente Locale con il suo consiglio eletto inizia una nuova vita
finanziaria sgombra dal peso del passato. La normativa sul
risanamento finanziario prevede la sospensione della decorrenza degli
interessi sui debiti ed il blocco delle azioni esecutive. Pertanto
tutti gli Enti Locali che dichiarano il dissesto, debbono provvedere
con risorse finanziarie proprie. L’Ente Locale, una volta attivata la
procedura del dissesto finanziario è obbligato come previsto dall’art.
251 del T.U. Relativamente al personale dipendente, l’Ente ha l’obbligo
di rideterminare la dotazione organica collocando in disponibilità il
personale che dovesse risultare in soprannumero (1 dipendente per 93 abitanti). Per il
personale in soprannumero, il Ministero dell’Interno garantisce un
contributo pari alla spesa relativa al trattamento economico per un
periodo di 5 anni come previsto dall’art. 265 del T.U. Gli enti in dissesto, in fin dei conti, godono di privilegi accordati alla pubblica amministrazione, e questo accade quando a fallire non è il privato.
Da sottolineare che se un comune prende la decisione di non dichiarare il dissesto
finanziario, il tutto viene pagato dalla popolazione, in termini di aumento del
canone dell’acqua, aumento dell’ICI e dell’Irpef. Inoltre è probabile una vendita di beni di proprietà del Comune (cioè i nostri, perchè il comune siamo noi). Una specie di pizzo che il popolo paga ai politici.
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