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Partito negli anni '50 con la valigia di cartone legata con lo
spago, consacrata dall'oleografia, l'emigrante siciliano ritorna ogni
anno per le ferie d'agosto al paese natìo.
La valigia di
cartone l'ha da tempo messa in soffitta, ricordo d'un passato di povertà
e sofferenza, simbolo di una svolta di una vita. Non viaggia più tanto
in treno, quanto, specie per le vacanze estive, in auto. E sull'auto,
che non è mai meno che Mercedes, o BMW, carica la famiglia numerosa,
con le bionde fidanzate dei figli.
Il cofano è stipato di
bagagli. Una coperta o un grande foglio di plastica ne copre una
montagna edificata accuratamente sul portabagagli esterno.
Si
riconosce subito ai caselli delle autostrade, sui traghetti; tanto
siciliano nell'aspetto e nei modi, quanto inequivocabilmente, della
Repubblica federale, della Svizzera, del Belgio, della Francia.
Al
paese porta regali per tutti i componenti della parentela ma non sono
regali scelti a caso. Requisito principale è il "made in DFR" e si
tratta di novità per l'Italia, alla portata di tutti nei magazzini di
Amburgo, Monaco e Dusseldorf.
La prodigalità viene ostentata
come segno d'agiatezza per suscitare l'ammirazione e l'invidia dei
parenti e degli amici rimasti al paese.
Ma ancor simbolo del
benessere economico raggiunto è la casa che nel corso degli anni con i
risparmi, tra un ritorno e l'altro, ha fatto tirar su, per la
villeggiatura e per il tanto sperato definitivo rientro.
Sotto
il cielo grigio del Nord Europa, nel chiuso delle officine e delle
fabbriche, sogna per anni, superati i primi tempi difficili, una casa
nel sole e fra gli ulivi della lontana Sicilia.
Ora però, si
trova, volendo prendere una decisione per l'avvenire, combattuto,
costretto a scegliere fra i figli e il paese. E da autentico siciliano,
più all'antica dei residenti in Sicilia, avendo nell'isolamento in
terra straniera gelosamente custodito tradizioni e mentalità del luogo
d'origine, non sa, fra la terra e il proprio sangue, entrambi
importanti, per che cosa optare.
A pochi anni del
pensionamento o già pensionato, si rende conto d'aver raggiunto il
benessere economico ma che questo non è tutto. I figli cresciuti
all'estero parlando poco e male l'italiano. Hanno invece appreso dai
genitori il dialetto. E il dialetto in cui s'esprimono, gli uni e gli
altri, è quello di quarant'anni fa infarcito d'espressioni ormai cadute
in disuso, non aggiornato con l'evolversi della società siciliana.
La
generazioni dei paninari, birra, hamburger e hot-dog, non si sente nè
siciliana nè tedesca. Della terra dei padri subisce il fascino mitico,
ammira le bellezze naturali, un pò meno, a causa della scarsa cultura,
quelle artistiche. E tuttavia non riesce ad adattarsi all'idea di
trasferirsi qui.
Più forte è il disagio degli anziani nella
terra d'origine che li accoglie come semistranieri e diversi, dove la
vita sociale non è più quella di quando sono partiti.
Mancata
piena integrazione dunque, da un lato, nella società straniera che li
ha accolti come lavoratori nelle fabbriche e nei cantieri e in cui si
sono autoisolati fra conterranei con l'idea fissa del ritorno al paese;
dall'altro lato, parziale estraneità nel luogo d'origine.
A
considerare inoltre come la povertà in Sicilia non esista più, che la
disoccupazione non è un male solo italiano, che tra sussidi,
contributi, pensioni sociali, economia sommersa, tutti qui si
vivacchia, si accresce nell'emigrato il sentimento della frustrazione e
della malinconia. Perchè tanti anni di disagi? E se si fosse rimasti
qui? E se arriva carico d'entusiasmo e d'allegria, riparte triste non
della sola tristezza del distacco. In un luogo o nell'altro si sente emarginato. Oggi,
raggiunto il benessere, il siciliano emigrato scopre l'esigenza
d'integrazione ma, sia nella nuova patria che nel luogo natale, è
difficile. Ci riusciranno forse i figli, gli oriundi, grazie ai
matrimoni misti, alla mentalità aperta delle giovani generazioni, a
sentirsi pienamente inseriti nella società teutonica assieme a greci,
turchi e altri emigrati meridionali in un clima di plurietnìa e
d'intreccio di cultura che ormai, bene o male, fa tanto Europa.
Cosa
resta agli anziani, investiti tutti i risparmi nella costruzione della
casa, data la difficoltà burocratica di accedere alle provvidenze
regionali, se non fare i pendolari? E infatti, vacanze estive a parte,
numerosi sono gli emigrati che, nella ricorrenza dei Defunti, a Pasqua,
a Natale, per i matrimoni e battesimi di familiari, scendono in Sicilia.
E
nel ripartire, ogni volta la valigia (adesso di cuoio) è zeppa di
barattoli di conserve, pane di casa, arance e fichi d'india, estratto
di pomodoro e caciocavallo, olio puro d'oliva e vino buono. Una mangiata come si deve può scacciare la malinconia.
Sù partuti arsira l'emigranti
salutannu li parenti stritti
ssu partuti cca' navi dde' novi
ccu lu scuru ppi non disturbari
Vannu 'nta l'autru cuntinenti
pirchì sta terra nun offri nenti
paroli 'o ventu dispoccupazioni
picca ppi ccu famigghia teni
Su partuti ccu la risata 'n vucca
e 'n 'ruppu 'nta la gula sicca
cu la surura 'mpicchiata 'n faccia
ssu partuti agitannu li vrazza
L'occhiu sempri fissu 'a la banchina
mentri la navi lesta s'alluntana
fazzuletti svintulianu 'nto celu
quanti culura! chi arcobalenu!
Su partuti l'emigranti picciriddu
a ccu saluti si nun c'è cchiù nuddu?
chi fai chianci? nun ti prioccupari
ca ppi Natali 'u to' papà veni!
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