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Stava per
chiudersi il 1908. Le festività natalizie erano appena trascorse e la
maggior parte degli italiani si accingeva a festeggiare il nuovo anno
quando, la mattina del 29, la grave, tremenda notizia, veniva
letteralmente sparata su tutta la
stampa italiana: Orrendo terremoto in Sicilia e Calabria è il titolo a
tutta pagina del Corriere. L’immensità del disastro appare così
devastante che fin dal 30 dicembre si parla di 70.000 morti a Messina e
25.000 a Reggio. Tutto sembrava incredibile. La maggior parte dei
sopravvissuti, dopo giorni, non riusciva ancora a capire che cosa
effettivamente fosse accaduto. Tutto avvenne in una sequenza così
disarmante ed inumana che ci fu persino chi pensò ad un contemporaneo
bombardamento di centinaia di corazzate. Erano le 5.21 della mattina di
martedì 28 dicembre, era ancora buio ma la maggior parte della gente
era già in piedi, pronta ad avviarsi al lavoro, chi l’aveva, o alla
ricerca di uno chi non l’aveva. Pronti ad affrontare una nuova giornata
di stenti. Improvvisamente, un cupo, profondo brontolio si sente come
provenire dalle viscere della terra e il tempo di chiedersi cos’è stato
che tutto crolla sotto i piedi. Chi riesce ad uscire illeso dalla quasi
totale distruzione, si avvia verso il mare per accorgersi con sgomento
che, invece, è il mare a venire loro incontro. Onde immense alte oltre
11 metri si abbattevano su tutto ciò che incontravano e, nel ritorno in
mare, con il risucchio irresistibile, trascinavano dietro quel ch’era
rimasto di case e interi palazzi.
L’enorme massa di detriti, compresi migliaia di esseri umani che il
mare sradicava dalla terra, aveva ostruito lo Stretto di Messina. Il
paesino di S. Alessio, vicino a Reggio Calabria, l’istante successivo
che un’onda alta 11 metri e 70 cm l’ha travolto, è stato cancellato
dalla faccia della terra.
Per trentasette secondi sotto Messina, la città dove Giovanni
d'Austria, il vincitore dei Turchi a Lepanto, apprese "la felicità del
vivere", dove Shakespeare ambientò il suo "Molto rumore per nulla" e
dove solo poche ore prima si assisteva all'Aida, la terra trema con una
violenza inaudita (11 gradi della scala Mercalli). Poco dopo nel
silenzio spettrale si ode un rombo che viene dal profondo del mare:
onde alte fino a 13 metri si scagliano sulla città e divorano gli
imponenti palazzi del lungomare. Così muoiono molti dei sopravvissuti
del sisma, scesi in strada e corsi verso la riva in cerca di scampo.
Alla fine i morti saranno 80.000 a Messina e 15.000 a Reggio. In quei
trentasette secondi di apocalisse edifici, ferrovie, strade e anche la
stazione radio sono distrutte o gravemente danneggiate.
Svaniscono come
fantasmi gli edifici neoclassici della monumentale Palazzata del
lungomare, scompaiono le chiese barocche dove Filippo Juvara aveva
mostrato il suo primo talento e la strada dei Monasteri. Quando la furia
si placa, Messina e Reggio si trovano in un buco nero dal quale non si
può lanciare nemmeno un Sos. In questo luogo inesistente resteranno per
tutta la mattina e tutto il pomeriggio del 28 dicembre fino a quando -
come ricostruisce Giorgio Boatti nel suo libro "La Terra Trema" - alle
17.25 arriva sulla scrivania di Giolitti, Presidente del Consiglio e
ministro dell'Interno, il telegramma che finalmente fa rompere gli
indugi. Ma un'intera giornata preziosa è andata perduta. I primi aiuti
arrivano dalle navi ancorate al porto di Messina. In giornata il
piroscafo Usa Washington e poi la nave Montebello portano a Catania i
primi feriti messinesi, mentre il mercantile inglese Afonwen fa rotta
verso il porto di Siracusa. Da queste due città partono i primi aiuti e
viene lanciato l' Sos che raggiungerà le squadre navali russa e inglese
che si addestravano al largo delle coste siciliane.
Sul finire della
prima terribile notte dopo il cataclisma arrivano i primi aiuti
organizzati. Nell'alba livida, sotto gli occhi spiritati dei superstiti
ancora sotto shock, dalle corazzate Cesarevic e Slava e dagli
incrociatori Makarov e Bogatyr scendono circa tremila marinai che
salveranno migliaia di persone. Più tardi arriva l'incrociatore inglese
Sutley con i suoi 170 allievi marinai, al quale seguirà il giorno dopo
l' incrociatore Minerva partito da Malta, e poi alcune navi
tedesche. Sempre il 29 arriveranno le corazzate italiane Regina
Margherita e Regina Elena mentre la Napoli si dirige verso Reggio
Calabria. Una quarta corazzata italiana, il Vittorio Emanuele, arriva
il 30 dicembre con a bordo il Re e la Regina. Poi per Messina giungono
giorni forse ancora più terribili: viene deciso lo stato di assedio e
si arriva persino a pensare di cannoneggiare la città semidistrutta,
raderla al suolo per ricostruirla altrove. Il timore di un complotto
ribassista sui titoli della Banca d'Italia induce poi il generale Mazza
a usare troppo zelo nella difesa di banche e caveau. In realtà il 7
gennaio 1909, alla riapertura della Borsa, le azioni della Banca
d'Italia perdono solo 13 punti (e non i 100 temuti).Ma accanto a tanti
errori e polemiche che investirono anche il Governo (Giolitti si
recherà a Messina solo nel 1911 dove, scrive un suo biografo, "fu
accolto a fischi") brilla ancora oggi il ricordo della solidarietà
arrivata da tanti Paesi.Dopo le squadre navali russa e inglese da tutto
il mondo arriveranno aiuto per le sfortunate Messina e Reggio: dalla
Germania all' Austria-Ungheria, dalla Francia agli Stati Uniti, dalla
Danimarca alla Grecia alla Spagna al Portogallo. Uomini che pochi anni
dopo si sarebbero trovati su opposte trincee sui fronti della Grande
Guerra, accorsero per restituire alle due città la speranza di una
nuova vita.
Era il più grande terremoto e maremoto
insieme che l’Europa ricordi. Non è mai stato accertato quante furono
esattamente le vittime. Una cosa è certa: più di ottantamila persone
perirono in una sola manciata di secondi. Per giorni e giorni, uomini e
donne e bambini vagarono tra le macerie, completamente inebetiti. Dalle
due alle tremila persone morirono nei giorni successivi poichè
seguirono piogge e freddo di una intensità mai registrati prima e
quando ritornò il mitico sole caldo di Sicilia cominciarono le
epidemie, le malattie, la fame. Il Governo, presieduto da Giolitti,
fece l’impossibile per alleviare le sofferenze, furono mandate migliaia
di persone compreso un corpo volontario di baresi e mezzi dell’Esercito
e della Marina per costruire baracche, alloggiamenti.
Furono fatte leggi per la ricostruzione delle zone terremotate,
soccorsi urgenti, interventi speciali, eppure cent’anni dopo, a Messina, le baracche sono ancora lì, testimonianza di un’opera
incompiuta.
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