""Clan sempre in azione. Vecchi e nuovi comitati d’affari. Scandali. Speculazioni edilizie. Lavoro nero. Ambiente a rischio. Economia in declino. Così l’illegalità soffoca la città dello Stretto.
A Messina la mafia non c’è. «Al massimo qualche mela marcia», assicura il sindaco Francantonio Genovese della Margherita, candidato leader per la Sicilia del Partito democratico. Lo stesso dicono altri politici e imprenditori. Comitati d’affari sì, collusioni tra palazzinari e amministratori anche. Ma la mafia no, non esiste. Fatto sta che alla vigilia delle ultime elezioni cittadine, sul muro esterno del Comune è apparsa una grande scritta: «La mafia è bella!». Con questo slogan in vista, l’aspirante sindaco Genovese ha accolto a palazzo Zanca Rita Borsellino, venuta a sostenerlo. Poi lei è partita e la scritta è rimasta. Per quindici giorni, senza che nessuno osasse cancellarla. Alla fine un messinese indignato si è rivolto al questore, e i vigili l’hanno rimossa.
Da
altre parti d’Italia, un simile episodio avrebbe scatenato giornali e pubblica
indignazione. A Messina è scivolato nel silenzio. Troppa abitudine a subire, a
collezionare primati negativi. Nel 2004 il “Sole 24 ore” ha consacrato Messina
provincia più invivibile d’Italia. Nella classifica della ricchezza 2006 era
ottantaduesima. Lo scorso giugno, l’Istat ha calcolato che se a Trento una
causa civile dura in media 500 giorni, a Messina cene vogliono 1.435. E ancora:
l’ultimo rapporto di Legambiente rifila il novantunesimo posto all’ecosistema
urbano, stroncando raccolta differenziata e aree verdi. Tutto ciò, scrive la Camera di commercio, in
un’economia con «il trend in crescita delle imprese messe in liquidazione
nell’ultimo quinquennio» e un «costante numero di società in fallimento». Un incubo,
per chi voglia fare bene. E una manna per il malaffare. Ha detto il procuratore
della Repubblica Luigi Croce: «Messina è una città massonica. Potenti clan
controllano trasversalmente i Palazzi della città. Sono clan mafiosi, ma anche
lobby di potentati economici e affaristici».
Quanto alla politica, le famiglie regnanti
sono sempre le stesse: i D’Alia, i D’Alcontres, i D’Aquino, i Germanà, i
Ragno... E i Genovese. Il sindaco in carica, 39 anni traditi da calvizie e modi
antichi, è figlio dell’ex senatore democristiano Luigi e nipote dell’ex
ministro dc Nino Gullotti. Nonché cognato del deputato regionale Franco Rinaldi
(Margherita) e del consigliere provinciale Rosalia Schirò (prima Margherita,
ora Udc). Se gli chiedi perché a Messina comandino i soliti noti, però,
risponde: «Questa è una città libera, desiderosa di un futuro migliore, con
lecite ambizioni e senza incrostazioni familiari».
Non lo imbarazza essere,
oltre al primo cittadino, socio della famiglia Franza, padrona dei traghetti
che collegano al continente. E nemmeno lo turba ciò che succede nella società
C&M, che gli ha curato la campagna elettorale. Direttori generali, mostra
l’organigramma, sono la moglie Chiara Schirò e l’ex sindaco Mario Bonsignore:
condannato nel ‘93 a due anni e sei mesi per affari e appalti, esiliato dalla
città per 11 mesi perché non inquinasse le prove, infine assolto tra infinite
polemiche. Come dire: passato e presente sono una cosa sola, a Messina. Il che
non sempre aiuta. Basti pensare alle vicende dell’università locale; quella che
oggi vanta il facoltà e 35 mila studenti. Ma anche quella dove non s’è mai
chiarito l’omicidio di Matteo Bottari, docente di Endoscopia ucciso a
pallettoni in faccia, Nei giorni scorsi il ministero dell’Università ha
constatato che gli studenti messinesi sono i più bravi d’Italia, nei test
d’accesso a Medicina. Dato che altrove esalterebbe, e invece qui ha provocato
un blitz della Finanza. Colpa dei precedenti.
A luglio il rettore Franco
Tomasello è stato sospeso due mesi per il sabotaggio di Filippo Spadola,
vincitore di una cattedra a Veterinaria già destinata a Francesco Macrì, figlio
del preside di facoltà. Nelle stesse ore è scoppiato il caso Lipin, progetto di
ricerca prima finanziato e poi saccheggiato. Per non parlare del resto: «L’università
di Messina», scrivono i magistrati, ‘è permeata nelle più alte cariche da una
concezione privatistica e clientelare della pubblica amministrazione». Un
verminaio dove «centri di potere» elargiscono «favori ad amici e conoscenti»,
ricorrendo se necessita a «ritorsioni e minacce». «Eccessi», contesta il pro rettore Pietro
Navarra, classe 1968, visiting professor alla Columbia University, docente di
master a Shanghai e punta di diamante della gestione Tomasello. «Si è voluto
colpire chi ha portato l’innovazione, chi ha sparigliato i vecchi giochi”.
Negli ultimi tre anni, ricorda, «sono stati lanciati 150 concorsi per arruolare
giovani ricercatori. Si è appena svolto un workshop con nomi internazionali per
progettare lo sviluppo urbano». E lui per primo, figlio del barone
universitario Salvatore e nipote del boss Michele Navarra (nome d’arte “U patri
nostru”). invoca «la concorrenza, il dinamismo economico, la distanza
dall’universo criminale». Appello condivisibile, ma poco seguito. 11 perché lo
spiega Fabio Repici, avvocato di parte civile nel processo per l’omicidio di
Graziella Campagna, 17 anni, colpevole di avere trovato un’agendina con nomi
scottanti: «La cronaca messinese», dice, é un rosario di scandali.
Nel 2005 c’è
stata l’operazione Gioco d’azzardo, sulle tresche dei costruttori e il
riciclaggio dei capitali. Nel 2006 è esplosa l’indagine sugli scempi attorno al
piano regolatore. Lo scorso maggio è spuntata Oro grigio, ennesima storia di
mazzette e concessioni. Eppure», dice Repici, «niente è cambiato. I comitati
d’affari sono gli stessi di quando comandava il boss Michelangelo Alfano
(protagonista di uno strano suicidio). L’ex Sottosegretario al Tesoro Santino
Pagano e il costruttore Salvatore Siracusano, accusati di concorso esterno alla
mafia, corruzione e riciclaggio, continuano a macinare affari». Quanto ai
magistrati. Repici applaude il loro coraggio. Ma racconta anche un episodio sul
procuratore generale, Ennio D’Amico: «Mentre l’ex sottosegretario Pagano era in
carcere, gli è morta la suocera. Al che D’Amico, allora presidente della Corte
d’appello di Reggio Calabria (competente per le indagini), partecipa a un
necrologio sulla “Gazzetta del Sud”. Firmandolo, tra gli altri, con
l’imprenditore Nicola Caligiore, il cui figlio Roberto era in prigione assieme
a Pagano». Inutile stupirsi. La vita è questa, a Messina. «Trasversalità», la
chiama ironico Maurizio Bernava, segretario provinciale della Cisl. La chiave
magica per accontentare tutti. Il segreto per cui a Messina più che morire, si
vive di mafia». Se poi cerchi conferme della promiscuità, della costante fuga
dalla legalità, allora devi girare in auto. A pochi metri c’è il mare, uno dei
più belli d’Italia, con correnti isteriche che lo colorano di mille azzurri.
Eppure vedi solo cemento. Una sequenza di muri in deroga al buon senso e spesso
al piano regolatore. «Da anni», segnala il Wwf, «Messina è inchiodata appena
sopra ai 260 mila abitanti. Nonostante questo, le gru si moltiplicano». Ai loro
piedi, costruzioni con le fondamenta nella sabbia, oggi in sicurezza e domani
chissà. «Venga!», strilla un anziano dal balcone di via Trapani, una delle
perpendicolari che scendono dalle colline al mare. «Venga a vedere cosa succede
a costruire le strade sulle fiumare, a buttare cemento sopra l’acqua che
scorre». La scena è sconcertante. Per cinquanta metri la strada non c’è più.
Protetto da na grata di ferro, un rigagnolo scende tra pattume e schifezze. Un
p0’ più sopra, in piena area protetta dalle direttive europee, c’è il complesso
in costruzione Green Park, quello dell’inchiesta Oro grigio. Più in là lo
svincolo Giostra, una lingua d’asfalto che avrebbe dovuto alleggerire il
traffico. Avrebbe, perché penzola incompiuta nel vuoto. «Messina», dice
l’architetto Alessandro Tinaglia, 36 anni, parte da presupposti falsati. Il
piano regolatore del 2002, aveva una previsione di crescita sovradimensionata.
E solo anime candide possono prenderlo per un errore. In verità si è speculato
sulla città, su chi ci abita. E si continua a farlo». Racconta, Tinaglia, che a
un certo punto l’ha convocato l’amministrazione Genovese. Volevano coinvolgerlo
nella rinascita di Messina, lui premiato alla Biennale di Venezia per un
progetto su Milazzo. «La mia idea», spiega, «è considerare lo Stretto nel suo
insieme: collegare
Reggio Calabria a Messina e ragionare di conseguenza». Piano affascinante, ma
devastante per i potentati locali. Morale: dalle parole non si è passati ai
fatti. «Qualcosa comunque si è mosso», aggiunge Tinaglia, «ed è già un passo
importante». Decisamente ottimista, in questo senso, è il sindaco Genovese. Per
lui, il futuro di Messina ha tre parole d’ordine:»Infrastrutture, ambiente e
qualità di vita», li primo passo, annuncia, sarà la celebrazione di una
sciagura: il terremoto del 28 dicembre 1908. Evento molto atteso, in città, ma
ancora indecifrabile. Non esiste un cartellone delle iniziative, e neppure un
piano finale di riassetto urbano. Reali e cupe, invece, sono le statistiche sul
lavoro: «Dal 2003 al 2005» , scrive la
Cisl siciliana, «si registra nella provincia una progressiva
flessione».
A trionfare è «l’effetto scoraggiamento. da qualche anno tendenza
stabile « .Vero è che il tasso di disoccupazione è sceso del 4,1 per cento sul
fronte femminile, e dell’1,2 su quello maschile. Ma solo perché «si è ridotto
il numero di chi cerca occupazione». Molti, documenta la Cisl, rinviano la ricerca del
lavoro. O scelgono di emigrare. Come dargli torto? Ci vuole poco, a Messina,
per deprimersi. Basta leggere gli esiti delle ispezioni nelle aziende. Da gennaio
a marzo 2007, su il i società 89 sono risultate irregolari, con 159 lavoratori
in nero su 599. Da aprile a giugno, invece, le aziende fuori norma erano 56 su
74, con 89 lavoratori in nero su 316. «Resistere a Messina è dura», commenta
Nini Bruschetta, interprete con Anna Bonaiuto del film “L’uomo di vetro”,
storia del primo pentito di mafia Leonardo Vitale. «Tanti sono progetti validi,
ma altrettanta fa conflittualità». Discorsi che tornano in mente davanti al
Teatro Vittorio Emanuele, in pieno centro. Il 29 luglio scorso, i suoi
orchestrali hanno abbandonato il palcoscenico durante uno spettacolo di
beneficienza. Motivo: esasperazione da precariato. Continuando a camminare, in
un traffico delirante, si arriva ai moli dei traghetti per Villa San Giovanni.
Un’altra tappa senza pace. Per anni il trasporto tra Sicilia e Calabria è stato
gestito dalla Caronte spa (famiglia calabrese Matacena) e dalla Turist Spa
(famiglia siciliana Franza, socia del sindaco). Tanta era l’armonia, che l
‘Antitrust ha multato per abuso di posizione dominante entrambe le società.
«Una lezione che non è bastata», dice Aurora Notarianni, candidato difensore
civico per Messina. «Nel 2006 le famiglie Franza, Matacena e Diano sono entrate
in società con Rfi (Rete ferroviaria italiana), e insieme gestiscono il nuovo
molo di Tre- mestieri». Una situazione sul tavolo dell’Antitrust, risulta a
“L’espresso”, dove si sta parlando di un’altra multa o un’altra istruttoria. «Comunque
sia, una tristezza», sbuffa il sindacalista Remava. «Ma attenzione:
Messina
non è sempre stata l’Eldorado dell’arroganza. Non sempre, nella storia, la
politica ha controllato senza governate». Nella notte dei tempi (prima guerra
punica), Messina è stata addirittura capitale della Sicilia. Con i Normanni era
un brillante centro economico e culturale. Poi sono seguiti i tempi grami.
Prima il terremoto del 1783. quindi quello di inizio Novecento. infine, il tira
e molla attorno al Ponte sullo Stretto, alibi perfetto per l’immobilismo. «
Paradossalmente», dice Stefano Lenzi, capo dell’ufficio legislativo del Wwf,
«il governo Prodi non ha risolto le ambiguità. A parole il ponte non è più
prioritario, ma il contratto con Impregilo è tutt’ora in piedi. Non solo: il
ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro dichiara di attendere la
consegna del progetto per non pagate penali. Ma le carte dicono altro. Il
contratto è rescindibile in qualunque momento. E comunque, il progetto
definitivo doveva essere consegnato in 180 giorni: scadenza
più che superata». Con queste premesse, è surreale invocare efficienza a
Messina. L’attesa del futuro continua, l’oligarchia delinquenziale prospera. E
l’amministrazione pubblica sbanda. Fino a che punto, lo si capisce nell’ufficio
di Giuseppe Previti, capogruppo di Rifondazione alla Provincia. Oltre al
bandierone rosso e alla canonica foto di Che Guevara, c’è un armadio pieno di
documenti. Centinaia di contestazioni che Previti infila nelle sue
interrogazioni. »> Vogliamo parlare della Pro.ge.ta. Spa (Programmazione
integrata e di gestione territoriale ambientale)?>., butta lì. «Si dovrebbe
occupare di industrie, porti, fondi comunitari, energia e quant’altro. La Provincia è socia, ma
non ha idea delle attività svolte», Peggio ancora va con i locali affittati per
tamponare la carenza di aule scolastiche. » Quest’anno», scrive Previti. «è
previsto un esborso di 4 milioni 241 mila 818 euro». Cifra che stranisce, ma
non quanto i circa 135 mila euro sborsati dalla Provincia per due mini
appartamenti nel cuore di Taormina.
Un investimento su cui si è molto
ironizzato, vista la teorica destinazione istituzionale. Fatto sta che la Provincia, dopo la
denuncia di Previti, ha girato gli immobili a Taormina Arte, fondazione di cui
fa parte. «Messina», dice Francesco Rìzzo, giovane consigliere di An, « è capovolta:
avviene ciò che non dovrebbe. Senza ritegno, in scioltezza. Arrivando a
situazioni paradossali. Pensi che il Comune, invece di concentrarsi sulla
periferia, ha costituito con i privati la società di trasformazione urbana
“Tiro- ne”, per la riqualificazione dell’omonimo quartiere storico: in pieno
centro «.11 sapore, sostiene Rizzo, «è quello della speculazione». Ma anche
della spregiudicatezza. In una lettera inviata alla Regione e al sindaco di
Messina, i residenti spiegano che la zona «è caratterizzata da gravissima
pericolosità idrogeologica e vincolo sismico di prima categoria». Costruirci un
«edificio residenziale di sette piani», in altre parole, è assurdo. Anche se
redditizio. «Massì», riconosce il sindaco Genovese, «a volte la città è stata
mortificata, ingiustamente».
La quotidianità dei messinesi, continua, «deve
trovare nuovo slancio. Dobbiamo credere nel turismo, recuperare la vocazione
all’accoglienza della città, far sì che non sia solo un transito verso altre
mete». Tutti impegni che lo vedranno protagonista. Perché malgrado le quote nei
traghetti, il sindaco è stato nominato anche commissario straordinario per il
traffico e l’emergenza ambientale. Sarà lui a gestire i soldi che sbarcheranno
a Messina ai posto del ponte. E con questi 300 milioni e passa di euro vorrebbe
«terminare lo svincolo Giostra, oltre che «trasferire in blocco gli approdi dei
traghetti a Tremestieri».
Se davvero andrà così, nessuno lo può dire. Nel frattempo, come gesto di cortesia, il sindaco mi recapita in albergo una scatola di dolci lunga mezzo metro e larga poco meno, Sulla carta arancione e gialla si legge “irrera”: la rinomata pasticceria di piazza Cairoli. Un omaggio gradito. Peccato che il padre di uno dei titolari, Giovanni Puglisi, sia stato arrestato nell’inchiesta Gioco d'azzardo. Un dettaglio non da poco.""
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