Abitudini, costumi, stili di vita… Il Cous Cous è principalmente cultura. Questo piatto è l'alimento tradizionale di tutto il Nordafrica, al punto che lo si potrebbe definire "piatto nazionale" dei Berberi; in gran parte dell'Algeria, est del Marocco, Tunisia, e Libia è conosciuto semplicemente col nome di taˁām طعام, "cibo". Oltre che nel Maghreb, esso è molto diffuso anche nell' Africa Occidentale, in Francia e anche nel Vicino Oriente (in particolare, in Israele presso gli Ebrei di origine magrebina). In Giordania, Libano e Palestina viene chiamato maftūlIl cuscus preparato nel trapanese,
in Sicilia, è cotto a vapore in una speciale pentola di terracotta
smaltata, ma il condimento a differenza di quello magrebino è un
delizioso brodo di pesce misto. Negli Stati Uniti il cuscus è conosciuto come tipo di pasta, probabilmente per influsso degli immigrati siciliani, mentre altrove è per lo più considerata come un cereale a sé. È particolarmente apprezzato per la sua rapidità di preparazione. Nei paesi francofoni dell'Africa subsahariana, il fufu viene spesso chiamato cous-cous. (ritorto).
La storia del cous cous ha inizio tra gli Imazighen, i Berberi, il
popolo delle montagne e delle valli del Nordafrica che hanno lasciato poche ma significative testimonianze
storiche. Con i cereali – il frumento, ma
soprattutto l’orzo, il miglio e il sorgo – queste popolazioni nomadi
preparavano inpasti con acqua o latte (sekso, kskso, kuskus, kusksi
nelle lingue berbere). Il cous cous, con la sua cottura al
vapore, ne costituisce, di fatto, un ulteriore sviluppo, tanto
caratteristico da comparire di frequente nei resoconti dei viaggiatori
europei che si recano nel Maghreb: «Il loro migliore piatto è il couscoussou. Lo
fanno con la farina, le uova, il sale e lo zucchero, alla maniera dei
nostri frascarelli o menofate, come si dice in Lombardia». (Don Juan
d’Austria, 1573).
Il termine cous cous sta ad indicare sia la semola che il piatto
completo, nella sua terra d’origine. Questa
semola si presta ad una varietà infinita di piatti visto il suo facile abbinamento con moltissimi condimenti: da quello più
semplice come lo smen, fatto con un burro fermentato e un bicchiere di latte
cagliato, ai ricchissimi cous cous delle feste di matrimonio e di
ricevimento. Nella tradizione nordafricana veniva preparato una volta
l’anno dalle donne dei clan che ruotavano la semola nella mafaradda
per incocciarla con l’aiuto di qualche goccia d’acqua salata. Una
volta incocciata la semola e condita con olio d’oliva, le donne arabe
la mettevano a cuocere in una pentola bucata posta sopra un’altra piena
d’acqua bollente. Tolto dal fuoco, dopo circa una ventina di minuti, il
cous cous veniva lavorato ancora con acqua e sale, e rimesso a cuocere.
Questa operazione veniva ripetuta per due o tre volte. Infine il cous
cous cotto veniva steso, fatto asciugare e riposto in
sacchi di stoffa. Il cous cous costituiva un alimento già
pronto facilmente trasportabile e non deperibile. Per i nomadi bastava
accendere il fuoco, preparare il brodo di carne, su cui, a vapore,
scaldare il cous cous ed il pranzo era pronto. Altri popoli, non avendo necessità logistiche particolari
da assecondare, ne hanno fatto un piatto stanziale, occasionale, da
preparare al momento. Sebbene “l’incocciata”, ridurre, cioè, la semola
in grani (quasi un rito antico) e la
cottura a vapore nella couscousiera siano fasi della preparazione
pressoché identiche in ambedue le modalità di consumo.
Il cous cous
viene tolto dal fuoco dopo circa due ore di cottura, versato nella
mafaradda e qui condito (si dice abbiviratu) ad arte, prevalentemente con brodo
di pesce, ma anche in un’infinità di altri modi. Tanti quanto i Paesi
che questo piatto giramondo ha attraversato.
La coreografia del piatto ha una sua importanza e non va trascurata.
Non dimentichiamo che il cous cous è un piatto, ma anche un
passe partout verso una cultura ed un modo del tutto particolare
d’intendere la vita.
Il
cous cous viene servito in un grande piatto, con la carne o il
pesce e le verdure al centro. Il brodo o condimento va servito in una ciotola a
parte, in modo che ognuno possa aggiungerlo a piacere. Il cous cous si
mangia con le mani ma i più pistignosi usano il cucchiaio e ognuno attinge alla porzione davanti a sé nel piatto unico, in quanto non ci dovrebbero essere
piatti individuali. Una condivisione che sicuramente aumenta la
convivialità ed esalta il valore simbolico di questo che non è solo un cibarsi ma è un vero rito culturale. Preparare e poi consumare il cous
cous sono attività legate alla partecipazione religiosa in quanto si ritiene anche che il cous cous sia portatore di baraka, la grazia
divina, e per questo motivo prima della preparazione la massaia deve
pronunciare un’invocazione e durante non dovrebbe vedere né sentire
nulla che possa essere di malaugurio. Pensate che è anche il piatto
tradizionale del pranzo del venerdì, il giorno della preghiera
collettiva musulmana e delle occasioni speciali, come la festa del
ritorno dei pellegrini dalla Mecca. Per le comunità ebraiche originarie
del Maghreb invece, il cous cous è il piatto per eccellenza del venerdì
sera, il primo pasto dello shabbat, il riposo settimanale, atteso nelle
case e nelle famiglie "con la stessa gioia con cui si riceve una
sposa", come recitava un’antico proverbio.
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