La Bibbia. Spesso gli spiriti la citano; ad essa si rifanno; più
frequentemente ne travisano il messaggio. Ma anche i terrestri non
hanno le idee chiare sulla sua attendibilità.
Esaltata da alcuni,
schernita o ignorata da altri, la Bibbia è comunque un libro di cui
tutti hanno sentito parlare. Destinata a scomparire, secondo pareri
illuminati, è invece oggi il libro più letto al mondo, e la sua
tiratura in copie ha di gran lunga sorpassato quella di qualsiasi libro
mai stampato.
Sepolta, messa all’indice, bruciata nei roghi, la Bibbia è tornata a spuntare ad ogni secolo.
Passata al vaglio dall’alta critica, rimaneggiata, tagliuzzata e
svilita dagli stessi teologi, è uscita indenne anche dall’indagine più
severa. Basti pensare che proprio al momento in cui essa subiva
l’attacco più micidiale, nasceva una disciplina scientifica che
l’avrebbe sommamente rivalutata: l’archeologia biblica. Studiosi
insigni hanno portato alla luce intere città, templi, monumenti che
confermano in pieno ciò che la Bibbia aveva detto da sempre.
Una critica fondamentale mossa alla Sacra Scrittura è quella riguardante la sua storicità. Un caso emblematico di tale scetticismo è quello riferito al nome di un re assiro, Sargon, la ci menzione è fatta soltanto nel libro del profeta Isaia, ma non appariva su nessun documento antico conosciuto. Nel XIX° secolo gli archeologi riportarono alla luce i resti del famoso archivio reale di Assurbanipal di Ninive, e nella moltitudine delle tavolette trovate rinvennero un testo nel quale si faceva cenno di una campagna militare condotta proprio da Sargon, l’illustre sconosciuto che solo la Bibbia menzionava ormai da secoli. Da questo punto si potrebbe iniziare a scrivere una lunghissima sequenza di citazioni di fatti consimili; non essendo possibile, rimandiamo ad una cospicua ed interessante lettura delle numerose opere di archeologia biblica. Tra i tanti studiosi che hanno espresso dichiarazioni in favore della Bibbia, ricordiamo soltanto il prof. Clemente Ricci. E’ importante citarlo per il semplice motivo che era un ateo. Prima di morire, il professore dava il suo ultimo corso di Storia delle religioni alla facoltà di Lettere e Filosofia all’Università Nazionale di Buenos Aires; era, nel campo, uno dei più eminenti e colti professori dell’istituto. Conosceva il sanscrito, l’ebraico, il greco, il latino e diverse lingue moderne. Un giorno uno studente del suo corso che doveva preparare un lavoro di dottorato, andò a chiedergli un consiglio sul soggetto da trattare.. Il prof. Ricci gli rispose così: “Sarò ben lieto di aiutarti. Ti consiglierei di scrivere sull’archeologia della Palestina; ho un buon numero di documenti originali che ho ottenuto durante la mia spedizione archeologica, e sarò ben lieto di lasciarteli usare. In questo modo sarai capace di confermare nella tua tesi, ciò che è stato già dimostrato: l’autenticità e la veridicità storica della Bibbia”, poi aggiunse: “Non cessare mai di investigare la Bibbia. Non permettere alle mie classi di portarti via l’interesse per lo studio di questo libro meraviglioso. Le Scritture sono una luce brillante, un faro per la tua vita”. Di fronte all’evidenza, l’onestà si inchina. Purtuttavia, nonostante le illustri dichiarazioni a suo favore, la Bibbia non può essere considerato un manuale di storia; poiché i fini per cui è stata scritta vanno oltre questa sola possibilità.
Quando lo stato di Israele, attuale, iniziò la sua politica di
valorizzazione delle terre desertiche, chiese a degli esperti di
scoprire delle fonti acquatiche. Questi si misero al lavoro utilizzando
la Bibbia come fonte di informazione e come mappa geografica. Si
dedicarono alla ricerca sistematica di tutti i nomi ebraici, aramaici e
arabi, nel testo biblico, contenenti la parola ‘acqua’. Nello stesso
tempo sottolinearono tutte le indicazioni in cui si faceva riferimento
a pozzi scavati, e in particolar modo utilizzarono ampiamente il libro
della Genesi.
Il lavoro non fù facile; i luoghi avevano i nomi
cambiati dagli odierni abitanti e le traduzioni erano spesso
completamente diverse dall’originale. Ciononostante gli esperti
giunsero ad identificare parecchi pozzi d’acqua che vennero esplorati,
ritenuti ancora utili e, quindi, utilizzati. Alcuni di questi pozzi
risalivano addirittura a 3000 anni addietro, ed erano stati scavati
dagli antichi patriarchi biblici.
Ma chi redasse i testi scritturali, non si pose mai l’obbiettivo che la Bibbia risultasse attendibile geograficamente.
E neppure scientificamente.
Nonostante ciò non si può non restare stupefatti quando si confrontano
le conoscenze di carattere medico-sanitario degli israeliti, con quelle
di popoli che la moderna cultura ha sommamente innalzato.
Oggi conosciamo un importantissimo testo di medicina, scritto in Egitto
intorno al 1552 a. C.: il Papyrus Ebers. E poiché l’Egitto “occupava
una posizione di dominio nell’antico mondo medico, questo papiro
riveste grande importanza come documento sulla conoscenza medica di
quel tempo”. In esso sono contenute delle ricette ad uso di coloro
che perdono i capelli, e altri consigli curativi. Tutti del seguente
tenore: “Per impedire che i capelli diventino grigi, ungeteli col
sangue di un vitello nero ch’è stato bollito in olio, o col grasso di
crotalo”; un’altra ricetta consigliava: “per le schegge conficcate
nella carne”, una applicazione di “sangue di verme e letame d’asino”.
Osserva il Mc. Millen: “Poiché il letame pullula di spore di tetano,
non c’è da meravigliarsi se i casi di tetano fossero numerosissimi in
tali occasioni.
Nella stessa epoca in cui veniva scritto il ‘Papyrus Ebers, nasceva
Mosè. Sappiamo che venne educato alla corte di Faraone e, senza dubbio,
dovette conoscere questo trattato di medicina. Purtuttavia, quando il
Signore lo chiamò per condurre gli ebrei lontano dalla schiavitù
d’Egitto, nel deserto ricevette una particolare promessa: “Se ascolti
attentamente la voce dell’Eterno, ch’è il tuo Dio, e fai ciò ch’è
giusto agli occhi miei e porgi orecchio ai miei comandamenti e osservi
tutte le mie leggi, io non ti manderò addosso alcuna delle malattie che
ho mandato addosso agli Egiziani, perché io sono l’Eterno che ti
guarisce”.
Intendiamoci, non è certo Dio che si diverte a mandare il male. Il
brano in questione pone piuttosto in evidenza il fatto che l’uomo è
libero di scegliere anche contro le indicazioni di Dio, che lo vuole
educare e salvare: se le indicazioni di Dio tendono, nel caso in
questione, a salvaguardare dalle infezioni, scegliere altrimenti
significa esporsi alle loro micidiali conseguenze. Inoltre, ed è questo
il senso più immediato del testo: è posta in evidenza la profonda
‘scientificità’ dei consigli divini, in contrasto con le superstiziose
dissertazioni dei medici egiziani.
Se si scorrono le pagine del testo biblico, ci si rende conto che una
delle piaghe più tremende di quei tempi era la lebbra, ma non solo di
quei tempi: nel Medio Evo, ad esempio, nulla fù trovato quale rimedio
per arginare l’infezione che si estese sull’intera Europa, mietendo
milioni di vittime.
Identiche conseguenze si ebbero con la peste. Furono i cristiani a
prendere in mano la situazione, applicando la procedura e le norme
igieniche contenute nella Bibbia e riportate nel libro del Levitico (
cap. 13, vers. 26); dell’uomo colpito da lebbra si dice: “Sarà impuro
tutto il tempo che avrà la piaga; è impuro, se ne starà solo; abiterà
fuori del campo”. Si agì di conseguenza e i risultati furono
eccellenti. Ancora oggi, nel mondo medico, si guarda con rispetto a
quei semplici ed efficaci insegnamenti. Arturo Castiglione, nel suo
libro A History of Medicine afferma che “ le leggi contro la lebbra
contenute nel capitolo XIII del libro del Levitico possono essere
considerate il primo esempio di legislazione sanitaria”; e Mc. Millen
aggiunge:
Non appena le nazioni europee si resero conto che l’applicazione della quarantena biblica permetteva l’arresto della lebbra, esse l’applicarono nei confronti della peste. I risultati furono ugualmente spettacolari e furono salvate milioni di vite. Se queste piaghe letali avessero seguito liberamente il proprio corso, molte celebrità del Rinascimento forse non sarebbero mai nate o sarebbero morte di morte prematura. Fu così che l’Europa subì una grande svolta solo perché gli uomini cominciarono a mettere in pratica le parole rivolte da Dio agli israeliti: ‘Se ascolti attentamente la voce dell’Eterno, ch’è il tuo Dio…io non ti manderò addosso alcuna delle malattie.
Nonostante tale prova di attendibilità, la Bibbia non è assolutamente un libro di scienze; essa però da delle certezze, delle verità appropriate alle esigenze dell’uomo; ne appaga le aspirazioni, non proiettandole in un mondo astratto e fittizio, ma risolvendole nella concretezza del vissuto storico, quotidiano. La Bibbia, è vero, ci parla di esseri celesti, ma li fa camminare sulle strade polverose degli uomini e li fa mangiare ai loro stessi banchetti; ci parla di cielo, ma lo considera intessuto con le vicissitudini degli uomini; ci parla di un uomo concreto, ma anche di un Dio concreto, personale, amico dell’uomo e interessato alla sua vicenda terrena, nonché al suo futuro eterno. Nulla, nella Bibbia, veste le tinte del superfluo e dell’astratto.
Una
delle accuse forti che vengono mosse nei confronti della Scrittura è di
essere mancante sul terreno della concretezza, e di raccontare
l’assurdo, l’impossibile.
Confesso che non mi riesce facile
immaginare un Dio capace solo del banale e del possibile. Tuttavia non
sarei in grado di accettare un Dio abbarbicato sulle inaccessibili
guglie dell’impossibile: il Dio della Bibbia, è tanto concreto da
permettersi di mangiare pane e pesci subito dopo l’evento ‘impossibile’
della resurrezione.
Evento impossibile come quello del monte della trasfigurazione,
dove , ancora una volta, un Dio invisibile, ma concreto, rende concreto
l’invisibile. L’evangelista Luca, nel raccontare l’evento miracoloso,
si premurerà di usare termini significativi per richiamare le
situazioni e le categorie di spazio-temporalità, quasi avvertisse il
pericolo che l’evento potesse essere letto in chiave mitica. Al
versetto 28, del capitolo 9 del suo Vangelo, Luca scrive: “Or avvenne
che circa otto giorni dopo questi ragionamenti, Gesù prese con sé
Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare…”
L’azione si svolge in un contesto spazio-temporale, in un dato giorno
della storia, ad una data ora di quel giorno, in un particolare luogo
geografico. La trasfigurazione avvenne sul monte, non in un luogo
filosofico, o nella mente illuminata dei presenti; avviene, è avvenuta
nella realtà:
L’universo soprannaturale - afferma Francis Schaeffer - non è lontano. Piuttosto il contrario: c’è una continuità perfetta, come nella vita normale. Perciò leggiamo in Luca 9:37 che il giorno seguente a questo avvenimento, Gesù scese dal monte ed entrò nelle normali attività della vita. In effetti, il quotidiano susseguirsi delle cose procedeva nel suo svolgimento mentre essi erano là sul monte…Mentre salivano sul monte, essi non entrarono nell’altro filosofico. E se avessero avuto un orologio al polso, non si sarebbe fermato ad un certo momento: avrebbe continuato a camminare. E quando essi scesero in pianura, era il giorno successivo e il normale succedersi degli eventi seguiva il suo corso .
Anche l’apostolo Paolo incontrò concretamente ‘l’invisibile’. Non ebbe una esperienza mistica; rimase fermamente ancorato alla terra, poiché è su essa che il divino lo incontrò. Quando lo stesso apostolo racconterà la sua conversione e gli eventi che l’avevano accompagnata, avrà cura di specificare che era avvenuta “sulla via di Damasco”, intorno a “mezzogiorno”, e che la voce udita gli aveva “parlato in lingua ebraica”. La conclusione, ancora affidata a Schaeffer, è illuminante: “Questa è una delle cose più significanti contenute nella Parola di Dio in mezzo alle polemiche del ventesimo secolo. Abbiamo una dichiarazione sullo spazio, il tempo, la storia e la comunicazione razionale… Essa si realizza nello spazio e nel tempo. Il Cristo glorioso e risorto gli parlò in lingua ebraica. A mezzogiorno, sulla via di Damasco, Gesù apparve…ad un uomo chiamato Saulo”. La Bibbia racconta di uomini e di storia, non di chimere e di fantasie; parla di cose di tutti i giorni, non di mondi delle ombre; parla di un Dio unico e personale che vuole incontrare persone.
Scrive lo scienziato e teologo Jean Flory: “la teologia moderna, particolarmente dopo Rudolph Bultmann, parla di smitizzare la Bibbia. Intendendo con ciò che bisognava espurgare la santa Scrittura di tutti i concetti pseudo-scientifici incompatibili con le nostre conclusioni attuali “. E’ indiscutibile che nell’età dei viaggi spaziali non è possibile ammettere che esistano dei “depositi per la grandine” (18), o che la terra sia “sostenuta da colonne”. Sono, queste, espressioni contenute nella Bibbia; appartengono al genere della letteratura poetica e non scientifica; l’autore sacro utilizza delle immagini, senza dubbio colorite, ma pur sempre immagini, non concetti scientifici. Anche l’apostolo Giovanni nello scrivere il libro dell’Apocalisse, usa questa forma espressiva quando scrive: “E il cielo si ritrasse come una pergamena che si arrotola”. Oggi assistiamo ad una operazione pseudo-culturale di recupero delle antiche tradizioni, di antichi culti pagani, di antiche filosofie; e stranamente, persino da studiosi di alto livello e cultura, questo materiale riceve una attenzione e una considerazione mai riservati alla Bibbia. Dottori e professori, senza dubbio stimati, sono pronti a spendere più che semplici parole per favolette scritte sull’argilla, ma storcono il naso di fronte ai racconti biblici deridendo quanti vi prestano fede. Le accademie e le università sono colme di cattedratici disposti a raccontare di idre a sette teste, giganti che si squartano, dèi che fecondano ciò che trovano a portata di mano, o che vomitano ogni sorta di elementi; dèe simili a vacche o a spighe di grano, ma sono stranamente in imbarazzo a citare Sansone, il diluvio o anche solo la creazione dal nulla del Dio di Mosè. Prendiamo, per un confronto, il racconto mitologico della creazione conosciuto come il Mistero di Atrahasis. Per la Bibbia, Dio è prima di tutte le cose, Egli è l’Eterno e il Creatore. Nel Mistero, gli dèi non sono altro che uomini costretti a scontare una pena: “Quando gli dèi erano ancora umani - si legge nel poema - essi lavoravano e sopportavano la fatica, grande era la fatica degli dèi, pesante il loro lavoro, e lunga la loro pena”. Per la Bibbia l’uomo è creato ad “immagine e somiglianza di Dio”, allo scopo di essere il signore della creazione e il collaboratore del Creatore. Nel Mistero, l’uomo è creato per servire gli dèi. Nel testo mitico si legge che uno di essi, Ea, propose agli altri dèi di creare l’uomo e di destinarlo ai lavori penosi in loro vece. Il Dio della Bibbia dice: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e a nostra somiglianza, e abbia dominio sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sugli animali, su tutta la terra, e su tutti i rettili che strisciano sulla terra “. Nel Mistero scopriamo che gli dèi, disturbati dalle urla e la confusione prodotti dagli esseri umani ormai cresciuti a dismisura in quanto a unità, si pentono di averli cerati, e minacciano di fare una strage: ma l’umanità è poi salvata grazie al tradimento di uno degli stessi dèi. Ci fermiamo qui. Questi, e altri racconti mitici, ricevono facilmente il patentino di credibilità, mentre per ciò che racconta la Bibbia si fa enormemente fatica a credere che sia realmente accaduto. Dinanzi ai reperti pagani e mitologici, quasi nessun accademico è colto dal dubbio che possano avere una certa importanza; mentre di fronte alla Bibbia, gli stessi studiosi, si chiedono se mai sia stata scritta dai suoi autori, nei secoli, o se sia semplicemente il prodotto di un unico, abile falsario. Si cerca con alacrità di collocare storicamente gli episodi di carri volanti che distruggono intere città col raggio laser, ma si vorrebbe cancellare dal tempo l’evento della distruzione di Sodoma e Gomorra. Abbiamo più volte constatato , parlando con alcuni di questi studiosi, che essi si comportano come se i sobri racconti della Bibbia facessero ridere, mentre le esagerazioni dei miti fossero da investigare con profonda serietà. Niente da eccepire riguardo le intelligenti strutture con cui sono costruiti i miti; gradiremmo più onestà e intelligenza quando si considerano i contenuti della Bibbia. Anche perché la Bibbia è stata scritta in funzione antimitica: è forse proprio questo che disturba?
Si accusava, appunto la Bibbia, di essere un libro di miti. Ma cos’è un mito?
Secondo gli studiosi del settore, nel mito trovano la loro collocazione
personaggi che sono la personificazione delle forze della natura e dei
suoi fenomeni. Si può parlare anche di ‘princìpi’: il principio del
male, il principio del bene, il principio del femminile ecc.; oppure di
personificazioni della terra, del cielo, del fuoco, dell’acqua.
Quindi il mito non è una spiegazione scientifica, (anche se alcuni di
essi sembra rappresentino complessi processi astronomici), e neppure
pre-scientifica; il mito è piuttosto il frutto della potenza
immaginativa dell’uomo che esprime per mezzo di tali rappresentazioni
le forze sconosciute che agitano la sua esistenza. Il mito, e la
situazione che rappresenta, si situano in un tempo che non è quello
della storia, un tempo che i filosofi chiamano “altro” o “differente”;
un tempo fittizio, astorico.
Nella Bibbia, invece, incontriamo il nostro tempo, il nostro spazio; la
storia realmente vissuta, nel tempo reale. Le stesse apparizioni di Dio
seguono, o se vogliamo dire, sottostanno armonicamente alle categorie
spazio-temporali conosciute e sperimentate dall’uomo.
Tornando alla Bibbia, il racconto del Genesi anziché rappresentare un
mito presenta tutte le caratteristiche per apparire proprio il suo
contrario, cioè un antimito. Il tempo della Genesi è un tempo che ci
appartiene: “sette giorni”, “sera e mattina” ecc. Nei racconti del
libro non appaiono affatto mostri e titani ad ingombrare la scena, ma
solo Jhaveh e gli uomini. La funzione di questi scritti è
essenzialmente pedagogica: ad esempio, quando lo scrittore afferma che
la ‘luce’ è creata il primo giorno e la fonte della luce, il sole, è
creato soltanto il quarto giorno, non vuole assolutamente scardinare le
nozioni scientifiche acquisite, e neppure porsi sul piano mitico; ma
vuole soltanto testimoniare che Dio è luce, e che questa potrebbe
risplendere anche in assenza del sole. In secondo luogo, l’autore sacro
testimonia della funzione antimitica della Parola di Dio, non
assegnando agli astri nessuna di quelle caratteristiche e importanza
attribuitegli invece dai credenti nei miti. Il come e il perché lo
vedremo più approfonditamente nel capitolo dedicato all’astrologia.
Una caratteristica peculiare della Bibbia sono le profezie. Molte di queste riguardano la persona e la missione di Gesù; da esse apprendiamo che Gesù stesso è Profeta e Messia, Figlio di Dio, Salvatore dell’umanità. Per nessun profeta era mai stato detto tanto. Nessun profeta è stato ‘profeticamente’ annunciato come lo è stato il Cristo. Più di trecento passi dell’Antico Testamento annunciano Gesù come il ‘liberatore degli oppressi’, il ‘redentore dal peccato’. Il profeta Michea, vissuto 700 anni prima di Cristo, aveva profetizzato il luogo di nascita del Messia: “Ma da te, o Bethlehem Efrata, piccola per essere tra i migliai di Giuda, da te mi uscirà colui che sarà dominatore in Israele, le cui origini risalgono ai tempi antichi, ai giorni eterni”. Sette secoli dopo nasceva a Betlemme, nella Giudea, Gesù Cristo. Un altro grande uomo di Dio, Isaia, aveva invece profetizzato così: “Perciò il Signore stesso vi darà un segno: Ecco, la vergine concepirà, partorirà un figliolo, e gli porrà nome Emmanuele”. Lo stesso profeta, nel cinquantatreesimo capitolo del suo libro, tratteggia un impressionante profilo della missione di Gesù in veste di Messia, promesso ad Israele. Ma la gran parte degli israeliti non comprese il messaggio di questa profezia, poiché attendevano non un “servo sofferente” e umile, ma un condottiero potente e vittorioso. Compresero invece Giuseppe e Maria; l’angelo che li avverte della imminente nascita di Gesù, annuncia anche il compimento delle profezie di Michea e di Isaia: “…ecco un angelo del Signore gli apparve in sogno dicendo: ‘Giuseppe, figliuol di Davide, non temere di prender teco Maria tua moglie; perché ciò che è in lei, è generato dallo Spirito Santo. Ed ella partorirà un figliuolo, e tu gli porrai nome Gesù, perché è Lui che salverà il suo popolo dai loro peccati”; e l’evangelista Matteo aggiunge: “Or tutto ciò avvenne affinché si adempiesse quello che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: ‘Ecco, la vergine sarà incinta e partorirà un figliuolo, al quale sarà posto nome Emmanuele’, che interpretato vuol dire: ‘Iddio con noi’” . Lo steso evangelista, nel secondo capitolo del suo evangelo, avrà cura di ribadire:
Or essendo Gesù nato in Bethlehem di Giudea, ai dì di re Erode, ecco dei Magi d’Oriente arrivarono a Gerusalemme dicendo: ‘Dov’è il Re dei Giudei che è nato?’…Udito questo, il re Erode fu turbato, e tutta Gerusalemme con lui. E radunati tutti i capi sacerdoti e gli scribi del popolo, s’informò da loro dove il Cristo doveva nascere. Ed essi gli dissero: ‘In Bethlehem di Giudea, poiché così è scritto per mezzo del profeta: ‘E tu, Bethlehem, terra di Giuda, non sei punto la minima fra le città principali di Giuda; perché da te uscirà un Principe, che pascerà il mio popolo Israele’.
Questo brano mette in evidenza che il coinvolgimento dei Magi nel
grande evento della nascita di Cristo, fù possibile grazie ad una
diffusa conoscenza, in Oriente, delle profezie messianiche, di cui gli
stessi Magi erano indubbiamente attenti studiosi.
Chiudiamo questa
breve carrellata profetica sulla vita di Gesù, presentando una
sconcertante profezia riguardante la sua morte. Il profeta Zaccaria
aveva annunciato: “E io dissi loro: ‘Se vi par bene, datemi il mio
salario, se no, lasciate stare’. Ed essi mi pesarono il mio salario;
trenta sicli d’argento. E l’Eterno mi disse: ‘Gettalo per il vasaio,
questo magnifico prezzo per il quale m’hanno stimato’.E io presi i
trenta sicli d’argento, e li gettai nella casa dell’Eterno per il
vasaio”. Nel testo si comprende che Dio parla a Dio stesso. Siccome Gesù è
Dio, si evince che il Padre stia parlando di suo Figlio, il quale
sarebbe realmente stato venduto da Giuda, il traditore, per trenta
denari. L’evangelista Matteo, scrivendo a riguardo di questo episodio,
riporterà in maniera straordinariamente esatta gli elementi costitutivi
dell’oracolo e attualizzandoli ne constata la realizzazione profetica:
Allora Giuda, che l’aveva tradito, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì, e riportò i trenta sicli d’argento ai capi sacerdoti e agli anziani, dicendo : ‘Ho peccato, tradendo il sangue innocente’. Ma essi dissero: ‘Che c’importa? Pensaci tu’. Ed egli lanciati i sicli nel tempio (nella casa dell’Eterno,ndr), s’allontanò, ed andò ad impiccarsi. Ma i capi sacerdoti, presi quei sicli, dissero: ‘Non è lecito metterli nel tesoro delle offerte, perché son prezzo di sangue’. E tenuto consiglio, comprarono con quel denaro il campo del vasaio da servir da sepoltura ai forestieri. Perciò quel campo, fino al dì d’oggi, è stato chiamato: ‘Campo di sangue’. Allora s’adempì quel che fu detto dal profeta.
E’ in questo modo che la Bibbia dimostra di essere un libro di verità.
La maggior parte delle profezie contenute nella Sacra Scrittura si sono adempiute con impressionante precisione; tuttavia ce ne sono ancora alcune che devono trovare il loro adempimento: ad esempio quelle riguardanti la seconda venuta di Cristo sulla terra. Ma nella loro totalità le profezie additano e confermano sempre una persona: Gesù Cristo, il profeta profetizzato, anch’egli conoscitore e promotore di profezie. Ciò che la Bibbia ha detto di Lui si è avverato puntualmente, e Gesù lo spiegò ai suoi discepoli con estrema semplicità: “Queste sono le cose che vi dicevo quand’ero ancora con voi: che bisognava che tutte le cose scritte di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi, fossero adempiute. Per proteggere i suoi discepoli, Gesù profetizzò gli eventi disastrosi dell’assedio e della caduta di Gerusalemme, che si sarebbero dovuti verificare quarant’anni dopo la sua ascensione al cielo: “Le vedete tutte queste cose? -disse mostrando ai discepoli le mura della città e del tempio - Io vi dico in verità: non sarà lasciata qui pietra sopra pietra che non sia diroccata”. Tito distrusse Gerusalemme nel 70 d.C. e di quei meravigliosi edifici di allora non restano che alcune pietre a raccogliere le lacrime di un intero popolo. A quelle pietre faceva riferimento la straordinaria profezia del profeta Daniele, detta anche delle Settanta Settimane. Per la complessità del suo studio non possiamo occuparci qui di questo oracolo; affascina comunque sapere che per mezzo di esso, circa 600 anni prima che gli eventi profetizzati accadessero, si era già in grado di stabilire esattamente l’anno del battesimo del Messia e l’anno della sua morte. Né a Buddha, né a Maometto, sono state riservate tante attenzioni; a nessun altro capo religioso, a nessun profeta - vero o presunto che sia - è stato profetizzato come e quanto per Gesù Cristo. Nessun saggio, guru, o maestro umano ha mai detto, fatto, profetizzato con la misura, l’ampiezza e la veridicità di Cristo. Benché la storia dei movimenti religiosi presenti svariate figure di uomini e donne degni di rispetto e ammirazione, nessuno di essi può arrogarsi i diritti e i titoli attribuiti a Gesù: Figlio di Dio e salvatore del Mondo. La Bibbia conferma che Egli è “la Via, la Verità e la Vita”.
La Bibbia, appunto. Possiamo fidarci della sua attendibilità?
Purtroppo oggi, molte persone sincere, che sono alla ricerca di una via
spirituale e di un Dio Salvatore, rinunciano ad approfondire i temi
della tradizione cristiana a causa delle sconcezze inscenate dalle
chiese cristiane, compresa la Cattolica Romana quale rappresentante più
antica della corrente. Per colpa delle assurdità predicate e perpetrate
dagli uomini di chiesa, molti sinceri ricercatori non sono riusciti ad
apprezzare e ad appassionarsi alla figura di Gesù e allo studio della
Bibbia.
“Se la Bibbia è falsa - afferma il teologo Renè Pache - come potrebbe
da un testo di menzogne derivare la più alta moralità? L’acqua non
risale più in alto della sorgente e la menzogna non produce la
verità”.
Circa 45 persone differenti tra loro per cultura, sensibilità,
estrazione sociale, mezzi espressivi hanno messo mano alla redazione
del libro sacro: nonostante questa sua caratteristica, la Bibbia
presenta un’armonia e un’unità letterarie elevatissime. Alla sua
redazione, durata sedici secoli, hanno collaborato re, sacerdoti,
contadini, pastori, medici, insegnanti, uomini di legge, storici,
uomini di stato ecc. Tale assortimento non danneggia, né sminuisce il
valore del messaggio; il miracolo è tutto qui: “Da dove sarebbe potuta
provenire - continua il Pache -, attraverso tutta la Bibbia, una tale
unità di visione, di struttura, di messaggio e di dottrine, nonostante
i secoli ed i numerosi strumenti necessari per la sua redazione? C’è
una sola risposta a questa domanda: in realtà la Scrittura non ha che
un unico Autore, lo Spirito Santo. Per Lui la Rivelazione è una, poiché
parla sempre del solo vero Dio”. Come non restare incredibilmente
sorpresi quando si sente dire che esimi studiosi sono capaci di
rigettare questa imponente produzione a causa di un frammento, di un
rotolo, o di qualche pergamena gnostica o esoterica che, di tanto in
tanto, si riesce a far saltare fuori da anfratti misteriosi.
Il Dio Unico e Vero ha parlato agli uomini per mezzo dei suoi profeti; Egli stesso ha ispirato gli scrittori della Bibbia.
La Bibbia, dunque, potrebbe realmente essere ‘la mappa’ che stavamo
cercando, il punto di riferimento solido e incontestabile per vagliare
ogni pretesa spiritistica.
Vorremmo ancora una volta ribadire che esprimiamo la nostra stima e il
più profondo rispetto per ogni espressione di fede, ma ci premuriamo di
aggiungere col Bocchini, che spesso: “…in nome di un parziale, o
perlomeno discutibile, concetto di rispetto, si appiattisce ogni
esperienza religiosa, dimenticando che se è vero che ogni religione è
certamente valida, e quindi da rispettare, stimare, conoscere, non è
detto che siano ugualmente tutte vere”.
Non possono essere sullo stesso piano, ed ugualmente vere, le
rivelazioni di Gesù e quelle di Maometto. Esse anziché completarsi
armoniosamente , si contrastano e si escludono a vicenda.
Potremmo ancora considerare ‘sublime’, una rivelazione che umilia gli
uomini col sistema degradante delle caste? Non ha forse detto lo stesso
Vivekanda, una delle maggiori figure dell’Induismo, che “nessuna
religione ha trovato accenti così sublimi per celebrare la dignità
dell’uomo e nessuna società schiaccia la testa ai miseri tanto
spietatamente quanto la società indiana”?
Certo, si obietterà, lo stesso metro di giudizio può essere applicato a
‘certi cristiani’ e alla loro maniera colpevole di predicare il
messaggio del Cristo; ma il cristianesimo e Cristo sono in più casi
distinti, mentre le caste, il disprezzo per i paria, sono tutt’uno con
gli dèi e la religione induista.
Afferma il Bergman: “L’Evangelo è la risposta di Dio a tutte le
religioni, a tutti gli uomini. E’ il completamento, e di fatto la fine
di tutte le religioni. Esso è la Rivelazione di Dio. E’ ciò che Egli ci
comunica personalmente…Buddha, per esempio, confesserà alla fine della
sua vita: ‘Io cerco sempre la verità’. Ma Gesù dice: ‘Io sono la
Verità’”.
Da questo punto, possiamo riprendere il discorso sospeso sullo Spiritismo.
Fonte: Luigi Caratelli maran-ata.it
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