Le scoperte di Galilei e Newton portavano a negare l'esistenza di uno spazio assoluto. Il principio di inerzia e di relavità galieliana del moto introducevano la nozione di uno spazio che dipende dall'osservatore, ossia dalla scelta del sistema di riferimento.
Isaac Newton
rigettò l'idea di un'esistenza di uno spazio assoluto, pur derivante
dalle sue scoperte. Esso era in contraddizione con le convinzioni che
Newton espresse nei suoi numerosi scritti di teologia.
L'esistenza di un tempo assoluto era invece ancora compatibile con la teoria di Galilei e Newton, e fu rimossa con la relatività ristretta.
Le soluzioni alle equazioni di Maxwell prevedono l'esistenza di perturbazioni dello spazio-tempo, onde che si muovono a velocità prossime a quella della luce. La gravità di Newton e le forze della meccanica classica presupponevano coppie di forze simultanee agenti a distanza, una reazione istantanea, laddove la nozione di campo ammette velocità elevatissime, ma comunque un tempo finito per la propagazione del segnale.
Occorreva conciliare le equazioni di Maxwell con la fisica classica. Inizialmente, si postulò l'esistenza dell'etere, senza modificare o negare le teorie esistenti.
La velocità della luce diventava un importante valore sperimentale per verificare le leggi di Maxwell e l'esistenza dell'etere.
Einstein rimosse questo postulato e costruì da zero una teoria che poteva conciliare la fisica classica con le scoperte di Maxwell.
La relatività ristretta afferma che uno spazio e un tempo assoluti non esistono, e che questi sono entrambi proprietà relative all'osservatore.
Se gli esperimenti evidenziavano che la velocità della luce è un valore costante, indipendentemente dall'osservatore che esegue la misura, e da Galilei in poi era chiara la relatività del movimento di un corpo e dello spazio, anche il tempo doveva essere pensato in termini relativi, per consentire la definizione di costanti fisiche universali, ossia indipendenti dalla scelta del sistema di riferimento.
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