Questa è la prima recessione dei precari. Quelli che non hanno ancora
né tutele né paracaduti. Per almeno un milione, su un totale di 4,5
milioni, il posto, anzi il reddito, è a rischio. Perché per i
lavoratori flessibili - con i contratti di collaborazione, i contratti
a termine, quelli di lavoro interinale - gli ammortizzatori sociali
(salvo qualche particolare eccezione) non ci sono ancora. Così nelle
aziende che riducono i costi, strette tra le difficoltà del credito e
il crollo della domanda, i primi "ammortizzatori sociali" sono proprio
loro: infatti, senza il rinnovo del contratto escono di scena, dando
così un po´ ossigeno (precario) ai conti delle imprese. Il governo ha
deciso di ricorrere ai ripari: l´indennità di disoccupazione verrà
estesa anche ai co. co. pro con un solo committente e probabilmente
anche agli altri atipici. Ma non è ancora chiaro se la misura scatterà
dal 2009 oppure subito.
Solo nella pubblica amministrazione si calcola che i contratti
destinati a non essere rinnovati sono tra i 250 mila e i 300 mila. Nel
dettaglio sono 47 mila i contratti a tempo determinato che non saranno
stabilizzati; 40-50 mila i contratti di collaborazione senza
prospettiva; 23 mila i lavoratori socialmente utili privi di sbocco;
circa 10 mila i contratti interinali dal futuro incerto. E poi i tagli
alla scuola mettono a rischio dai 130 ai 150 mila posti già precari.
Tutti questi fanno parte di un pezzo del lavoro flessibile italiano,
certo partecipano a formare la "massa critica" dei nostri working poor,
al netto del lavoro sommerso.
In una recente studio dell´Università di Roma La Sapienza ("Stabilmente
precari? Rapporto 2008 sui lavoratori parasubordinati") si calcola che
siano oltre 800 mila gli atipici «a rischio precarietà», cioè quelli
che hanno un solo contratto e con un solo committente come fonte di
reddito. Nei fatti lavoratori dipendenti a basso reddito e -
paradossalmente - figli della deregulation dei mercati.
E se si guarda alla crisi proprio da questa prospettiva, e non solo
dalle fabbriche del nord o dei distretti della cosiddetta "terza
Italia", insomma non solo dalla parte del lavoro tradizionale, ci si
accorge che l´effetto sarà durissimo soprattutto nel Mezzogiorno.
Scrivevano gli autori della ricerca della Sapienza, prima del crollo
delle Borse: «I risultati sono allarmanti in quanto confermano
l´esistenza di due Italie caratterizzate da condizioni di lavoro e di
vita estremamente diverse: il nord, specialmente le aree maggiormente
industrializzate e con imprese di maggiore dimensioni, dove la presenza
di lavoratori parasubordinati è minoritaria e la precarietà è
l´eccezione; il centro-sud, dominato da imprese terziarie dove il
ricorso al lavoro parasubordinato e a quello precario è una prassi
consolidata». In Calabria e nel Lazio sono precari tre parasubordinati
su quattro. E il primato assoluto spetta a Reggio Calabria dove i
precari sono l´82,2 % degli atipici.
Il
reddito medio di chi è parasubordinato e ha un solo committente supera
di poco gli 8 mila euro lordi l´anno. Considerando tutta la platea
degli atipici la media sale a quasi 16 mila euro. Guadagnano di meno le
donne: quasi il 50% degli uomini. Secondo i ricercatori dell´università
romana sono 430 mila le donne «che vivono una situazione di insicurezza
dovuta alla mancanza di continuità del rapporto di lavoro e di un
reddito adeguato». Di uomini in queste condizioni ce ne sarebbero circa
360 mila. L´età media resta intorno ai quarant´anni, età matura, non
giovane. Il tutto già prima della crisi. E questi ottocentomila,
sommati ai 200 mila e passa del pubblico impiego, costituiscono
quell´esercito di precari che in silenzio rischia di essere spazzato
via dalla crisi.
fonte:larepubblica.it
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