Cosa Nostra
è disciplinata da regole
rigide principalmente tramandate oralmente, che ne impostano
dall'organizzazione al funzionamento e si dice che nessuno troverà mai
elenchi di
appartenenza, né attestati, né ricevute di
pagamento di quote sociali.
La cellula primaria è costituita dalla famiglia,
una struttura a base territoriale, che controlla una zona della città o
un intero centro abitato da cui solitamente prende il nome.
La famiglia è composta da Uomini d'onore
e soldati coordinati, per ogni gruppo di dieci, da un capodecina ed è
governata da un capo di nomina elettiva, chiamato anche rappresentante,
il quale è assistito da un vice capo e da uno o più consiglieri.
L'attività
delle famiglie è coordinata da un organismo collegiale, denominato
commissione o cupola, di cui fanno parte i capi-mandamento e, cioè, i
rappresentanti di tre o più famiglie territorialmente contigue.
La commissione è presieduta da
uno dei capi-mandamento. La commissione ha una sfera d'azione, grosso modo, provinciale ed ha il compito di
assicurare il rispetto delle regole di Cosa Nostra all'interno di
ciascuna famiglia e, soprattutto, di comporre le vertenze fra le
famiglie.
Non meno minuziose sono le regole che disciplinano l'arruolamento degli uomini d'onore
ed i loro doveri di
comportamento. I requisiti richiesti per l'arruolamento sono:
salde doti di coraggio e di spietatezza; una situazione
familiare trasparente e, soprattutto, assoluta
mancanza di vincoli di parentela con "sbirri". La prova di coraggio
ovviamente non è richiesta per quei personaggi che
rappresentano, secondo un'efficace espressione di Salvatore Contorno,
la "faccia pulita" della mafia e cioè professionisti, pubblici
amministratori, imprenditori che non vengono impiegati generalmente in
azioni criminali ma prestano utilissima opera di fiancheggiamento e di
copertura in attività apparentemente
lecite. Il soggetto in possesso di questi requisiti viene cautamente
avvicinato per sondare la sua disponibilità a far parte di
un'associazione avente lo scopo di "proteggere i deboli ed eliminare le
soverchierie".
Ottenutone l'assenso, il neofita viene condotto in un luogo defilato
dove, alla presenza di almeno tre uomini della famiglia di cui andrà a
far parte, si svolge la
cerimonia del giuramento di fedeltà a Cosa Nostra.
Egli prende fra le mani un'immagine sacra, la imbratta con il sangue
sgorgato da un dito che gli viene punto, quindi le dà fuoco e la
palleggia fra le mani fino al totale spegnimento della stessa,
ripetendo la formula del giuramento che si conclude con la frase: "Le
mie carni debbono bruciare come questa santina se non manterrò fede al
giuramento".
Lo status di "uomo d'onore", una volta acquisito, cessa
soltanto con
la morte; il mafioso, quali che possano essere le vicende della sua
vita, e dovunque risieda in Italia o all'estero, rimane sempre tale.
Pare,
comunque, a causa della degenerazione di Cosa Nostra, i
criteri di arruolamento siano più larghi e che non si vada più tanto
per il sottile nella scelta dei nuovi adepti.
L'
"uomo d'onore", dopo avere prestato giuramento, comincia a conoscere
i segreti di Cosa Nostra e ad entrare in contatto con gli altri
associati. Soltanto i Corleonesi e la famiglia di Resuttana non hanno
mai
fatto conoscere ufficialmente i nomi dei propri membri ai capi delle
altre famiglie, mentre
era prassi che, prima che un nuovo adepto prestasse giuramento, se ne
informassero i capi famiglia,
anche per accertare eventuali motivi ostativi al suo ingresso in Cosa
Nostra. In ogni caso, le conoscenze del singolo "uomo d'onore" sui
fatti di Cosa Nostra dipendono essenzialmente dal grado che lo stesso
riveste
nell'organizzazione,
nel senso che più elevata è la carica rivestita maggiori sono le
probabilità di venire a conoscenza di fatti di rilievo e di entrare in
contatto con "uomini d'onore" di altre famiglie.
Ogni "uomo d'onore" è
tenuto a rispettare la "consegna del silenzio":
non può svelare ad estranei la sua appartenenza alla mafia, né, tanto
meno, i segreti di Cosa Nostra; è, forse, questa la regola più ferrea
di Cosa Nostra, quella che ha permesso all'organizzazione di restare
impermeabile alle indagini giudiziarie e la cui violazione è punita
quasi sempre con la morte. All'interno dell'organizzazione, poi, la
loquacità non è apprezzata:
la circolazione delle notizie è ridotta al minimo indispensabile e l'
"uomo d'onore" deve astenersi dal fare troppe domande, perché ciò è
segno di disdicevole curiosità ed induce in sospetto l'interlocutore.
Quando gli "uomini d'onore" parlano tra loro, però, di fatti attinenti
a Cosa Nostra hanno l'obbligo assoluto di dire la verità
e, per tale motivo, è buona regola, quando si tratta con "uomini
d'onore" di diverse famiglie, farsi assistere da un terzo consociato
che possa confermare il contenuto della conversazione.
Chi non dice la
verità viene chiamato "tragediaturi" e subisce severe sanzioni che
vanno dalla
espulsione (in tal caso si dice che l' "uomo d'onore è
posato") alla morte. Così, attraverso le regole del silenzio e
dell'obbligo di dire la verità, vi è la
certezza che la circolazione delle notizie sia limitata all'essenziale
e, allo stesso tempo, che le notizie riferite siano vere.
Questi concetti
sono di importanza fondamentale per valutare le dichiarazioni
rese da "uomini d'onore" e, cioè, da membri di Cosa Nostra e per
interpretarne atteggiamenti e discorsi. Se non si prende atto della
esistenza di questo vero e proprio "codice" che regola la circolazione
delle notizie all'interno di "Cosa Nostra" non si riuscirà mai a
comprendere come mai bastino pochissime parole e perfino un gesto,
perché uomini d'onore si intendano perfettamente tra di loro. Così, ad
esempio, se due uomini d'onore sono fermati dalla polizia a
bordo di un'autovettura nella quale viene rinvenuta un'arma, basterà un
impercettibile cenno d'intesa fra i due, perché uno di essi si accolli
la paternità dell'arma e le conseguenti responsabilità, salvando
l'altro. E così, se si apprende da un altro uomo d'onore che in una
determinata località Tizio è
"combinato" (e, cioè, fa parte di Cosa Nostra),
questo è più che sufficiente perché si abbia la certezza assoluta che,
in qualsiasi evenienza ed in qualsiasi momento di emergenza, ci si
potrà rivolgere a Tizio, il quale presterà tutta l'assistenza
necessaria.
Proprio in ossequio a queste regole di comportamento sia
Buscetta sia
Contorno,
hanno posto una cura esasperata durante i loro interrogatori nell'indicare come
"uomini d'onore" soltanto i personaggi dei quali conoscevano con
certezza l'appartenenza a Cosa Nostra, e cioè
soltanto coloro che avevano avuto presentati come "uomini
d'onore" e coloro che avevano avuto indicati come tali da altri uomini
d'onore, anche se personalmente essi non li avevano mai incontrati.
Anche la "presentazione" di un uomo d'onore è puntualmente regolamentata dal
codice di Cosa Nostra allo scopo di evitare che nei contatti fra i
membri dell'organizzazione si possano inserire estranei. E' escluso,
infatti, che un "uomo d'onore" si possa presentare da solo, come tale,
ad un altro membro di Cosa Nostra,
poiché, in tal modo, nessuno dei due avrebbe la sicurezza di
parlare effettivamente con un "uomo d'onore". Occorre, invece,
l'intervento di un terzo membro dell'organizzazione che li conosca
entrambi come "uomini d'onore" e che li presenti tra loro in termini
che diano l'assoluta certezza ad entrambi dell'appartenenza a Cosa
Nostra dell'interlocutore. E, così, come ha spiegato Contorno, è
sufficiente che l'uno venga presentato all'altro, con la frase
"Chistu è a stissa cosa", perché si abbia la certezza che l'altro sia
appartenente a Cosa Nostra.
Altra regola fondamentale di Cosa Nostra è quella che sancisce il divieto per l'uomo di trasmigrare da una famiglia all'altra.
L'arresto
e la detenzione non solo non spezzano i vincoli con Cosa
Nostra ma, anzi, attivano quell'indiscussa solidarietà che lega gli
appartenenti alla mafia: infatti gli "uomini d'onore" in condizioni
finanziarie disagiate ed i loro familiari vengono aiutati e sostenuti,
durante la detenzione, dalla "famiglia" di appartenenza; e spesso non
si tratta di aiuto finanziario di poco conto, se si considera che, come
è notorio, "l'uomo d'onore rifiuta il vitto del Governo" e, cioè, il
cibo fornito dall'amministrazione carceraria, per quel senso di
distacco e di disprezzo generalizzato che la mafia nutre verso lo
Stato. Unica conseguenza della detenzione, qualora a patirla sia un
capo
famiglia, è che questi, per tutta la durata della carcerazione, viene
sostituito dal suo vice in tutte le decisioni, dato che, per
la sua situazione contingente, non può essere in possesso di tutti gli
elementi necessari per valutare adeguatamente una determinata
situazione e prendere, quindi, una decisione ponderata.
Il capo, comunque, continuando a mantenere i suoi collegamenti col
mondo esterno,
è sempre in grado di far sapere al suo vice il proprio punto di vista,
che però non è vincolante, e,
cessata la detenzione, ha il diritto di pretendere che il suo vice gli
renda conto delle decisioni adottate.
Durante la detenzione è buona norma, anche se non assoluta, che l'uomo d'onore raggiunto da gravi elementi di reità
non simuli la pazzia nel tentativo di sfuggire ad una condanna:
un siffatto atteggiamento è indicativo della incapacità di assumersi le
proprie responsabilità. In carcere gli "uomini d'onore" dovevano
accantonare ogni contrasto ed evitare atteggiamenti di aperta rivolta
nei confronti dell'autorità carceraria.
Unica
deroga al principio della indissolubilità del legame con Cosa Nostra è
la
espulsione dell'uomo d'onore, decretata dal "capo famiglia" o, nei casi
più gravi, dalla
"commissione" a seguito di gravi violazioni del codice di Cosa Nostra,
e che non di rado prelude all'uccisione del reo. L'uomo d'onore
espulso, nel lessico mafioso, è
"posato".Ma neanche
l'espulsione fa cessare del tutto il vincolo di appartenenza
all'organizzazione, in quanto produce soltanto un effetto sospensivo
che può risolversi anche con la reintegrazione dell'uomo d'onore.
Pertanto l'espulso continua ad essere obbligato all'osservanza delle
regole di Cosa Nostra.
Altra regola fondamentale di Cosa Nostra è l'assoluto divieto per l'"uomo d'onore" di fare ricorso alla giustizia
statuale. Unica eccezione riguarda i furti di
veicoli,
che possono essere denunziati alla polizia giudiziaria per evitare che
l'uomo d'onore, titolare del veicolo rubato, possa venire coinvolto in
eventuali fatti illeciti commessi con l'uso dello stesso; naturalmente,
può essere denunciato soltanto il fatto obiettivo del furto, ma non
l'autore.
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