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Rifiuti in
Sicilia. Paghiamo di più di tutti gli italiani per ricevere un servizio
scadente. Interessante articolo apparso sulla Repubblica.it e firmato Agostino
Spataro. Si parla della gestione dei rifiuti affidata a 27 A.T.O. per
tutto il territorio regionale che ha portato solo un servizio scadente
contro una spesa per famiglia superiore a tutte le altre Regioni
D'Italia. Buona lettura.....
Sembra che sui siciliani si sia abbattuta
una sorta di maledizione: costretti a pagare le tariffe più elevate in
cambio di servizi fra i più scadenti d’Italia.
In realtà, la
maledizione non c’entra nulla. C’entrano, e molto, il malgoverno, la
cattiva amministrazione, l’irresponsabilità politica e l’assenza di
adeguati controlli.
Ossia un complesso di fattori che ha
generato un sistema “impazzito” che divora enormi risorse finanziarie,
pubbliche e private, e produce sprechi, debiti e favoritismi.
La situazione siciliana sta andando alla deriva, fuori d'ogni controllo politico e amministrativo.
La
conferma viene dalle tante statistiche, ma ogni cittadino può
constatarlo da se, nella vita quotidiana: nei campi della sanità, dei
trasporti, nella pubblica amministrazione, nella gestione del mercato
del lavoro, in gran parte al nero, dei servizi.
Un esempio? La
disastrosa gestione (tranne rarissime eccezioni) dei servizi di
raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani, affidati ad una pletora di
27 A.T.O, acronimo beffardo che sta per Ambito territoriale ottimale.
Nonostante
le leggi e i decreti emanati dal presidente Lombardo, le circolari
dell’Agenzia regionale competente che impongono una riduzione nel
numero e una riorganizzazione giuridica e funzionale, gli Ato erano
ventisette e tanti sono restati.
E continuano ad accumulare
debiti, a bruciare risorse pubbliche e/o prelevate direttamente dalle
tasche dei cittadini attraverso tassazioni e tariffazioni fra le più
alte del Paese.
In Sicilia si paga la tariffa più alta per famiglia
Dall’Osservatorio
prezzi e tariffe 2008 di Cittadinanza attiva, si rileva che, nel 2007,
in Sicilia si è pagata la tariffa più elevata per famiglia tipo (tre
persone e un’abitazione di 100 mq): precisamente 280 euri l’anno (con
un incremento del 7,7% rispetto al 2006), contro una tariffa media
nazionale di 217 euro. Dopo la Sicilia segue la Campania (262), la
ricca Lombardia (184); ultimo è il Molise con 117 euri. Fra le prime 10
città per spesa annua più elevata, sei sono localizzate nel meridione,
delle quali tre siciliane: Siracusa al 1° posto (con 400 euri),
Agrigento al 3° (con 367 ), Catania al 4° (con 365 ). Palermo è al 16°
posto con 261. Ci sono città, anche del mezzogiorno, con una spesa
molto più ridotta di quelle sopra citate: Reggio Calabria (95 euri),
Brescia (123 ) Cremona (127).
Perché queste forti disparità
di spesa? Sarebbe il caso che gli enti gestori e le graziose autorità
siciliane lo spiegassero ai contribuenti siciliani.
Sappiamo,
da tempo, che una delle cause principali sta negli sprechi prodotti
dall’elefantiaca organizzazione territoriale articolata in 27 Ato,
invece che 9, ossia uno per provincia come nel resto d’Italia.
Come il solito, è stata usata l’Autonomia per dar vita ad una "nuova idra dalle 27 teste"
che brucia risorse e produce un carente servizio di raccolta e
smaltimento dei rifiuti, con un’incidenza infima della raccolta
differenziata e dei processi di riciclo.
Di chi le
responsabilità? Precisamente, nessuno lo sa. Anche se è certo che la
mostruosa creatura è stata generata nel periodo a cavallo fra le
presidenze del ds Angelo Capodicasa e dell’udc Totò Cuffaro.
In
una fase, cioè, molto turbolenta ed opaca della politica siciliana,
vissuta, pericolosamente fra ribaltoni e contro-ribaltoni, all’insegna
del trasformismo più deteriore e di temerarie acrobazie politiche.
Un
inciucio nel quale era difficile distinguere il confine fra politica e
affarismo e quindi le responsabilità in ordine ai diversi provvedimenti
adottati dai governi.
Ridurre a sei gli Ato - rifiuti
Comunque
sia, sperando che un bel dì sapremo, il problema attuale è quello di
rimediare al danno procurato ai siciliani mediante la riduzione del
numero degli Ato-carrozzoni.
Facile a dirsi, ma difficilissimo a
farsi! A questa ipotesi s’oppongono, infatti, tre quarti delle forze di
maggioranza e, sottobanco, taluni settori dell’opposizione.
Grosso modo lo stesso fronte delle forze che osteggiano il piano di rientro e di riorganizzazione della sanità siciliana.
Com’è
noto, il nuovo presidente della regione, Lombardo, anche in aderenza
con un pronunciamento dell’Assemblea regionale, ha decretato la
riduzione degli Ato da 27 a 14 e di trasformarli in autorità d’ambito,
una specie di consorzi fra comuni.
Certamente, un passo nella giusta direzione.
Ma non basta. In altre realtà regionali si sta procedendo ad
accorpamenti interprovinciali per migliorare il servizio e realizzare
economie di scala, a tutto vantaggio dei cittadini.
Cito fra i
tanti, l’esempio della Toscana dove si è passati da 10 a 3 Ato
interprovinciali, già operativi, con risultati davvero notevoli in
termini di tariffe e di ottimizzazione delle risorse umane e
finanziarie.
In Sicilia ne basterebbero sei: uno per ciascuna
grande provincia (Palermo, Catania e Messina) e tre interprovinciali
per accorpare Siracusa con Ragusa, Caltanissetta con Enna, Agrigento
con Trapani.
Chi o che cosa impedisce di fare una riforma del genere in Sicilia?
Bisogna
agire e subito. Prima che arrivino le nuove tariffe che s’annunciano
come vere stangate per i cittadini, soprattutto dei medi e dei piccoli
comuni siciliani.
Penalizzati i cittadini dei piccoli e medi comuni
Ho
sotto gli occhi le previsioni di spesa, per gli anni 2008 e 2009, che
l’Ato Gesa Agrigento 2 ha comunicato al sindaco del mio paese, Joppolo
Giacaxio, un borgo di 1200 abitanti, di cui il 60% pensionati al
minimo, per il quale si calcola un costo medio annuo pro-capite di
363,92 euro, contro i 125,38 della vicina Raffadali. Le malelingue
dicono che Joppolo è penalizzato perché paese di residenza dell’on.
Capodicasa, ex presidente della regione, mentre Raffadali è favorita
per essere il paese del suo successore, on. Cuffaro.
Il caso qui citato non è l’unico, ma uno
dei tanti provocati da un sistema perverso che genera disservizi e
odiose differenze di costi fra comuni dello stesso “ambito”.
Insomma,
per Joppolo il passaggio all’Ato non è stato, certo, un ottimo affare
poiché ha comportato un incremento vertiginoso della spesa comunale: da
circa 60.000 euro del 2003 agli attuali (preventivati) 451.000 euro.
Ossia 7,5 volte in più in cinque anni.
Assolutamente
incomprensibile, visto che nel quinquennio è calata la produzione dei
rifiuti perché è calata la popolazione a causa dell’emigrazione e del
saldo demografico negativo.
Viene da chiedersi: se questo è “l’ottimo” cosa sarà il pessimo? Chiacchiere da
bar, naturalmente. Anche se resta lo sconcerto, l’incredulità direi,
per una stima dei costi così elevata che se non dovesse essere corretta
potrebbe comportare un aumento per tre o per quattro degli importi
delle nuove bollette.
Agostino Spataro - La Repubblica del 14 gennaio 2009
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