Negli Anni 90, con la liberalizzazione del trasporto aereo negli USA, fine del
protezionismo con conseguenze in Europa: nascono le prime compagnie
private, occorre una revisione delle strategie per affrontare costi
crescenti, tariffe in competizione e partnership intercompany per
aumentare l’efficienza. Il modello a rete con hub di smistamento
diventa il più gettonato ed ogni paese importante ne ha almeno uno. Per
l’Italia Linate evidentemente non va bene (non può gestire volumi da
hub e non può crescere in dimensioni), Fiumicino non è politicamente
corretto (non è in Padania ed il nord ricco in cui cresce la Lega è
ansioso di non dipendere da Roma ladrona); si costruisce un hub
dedicato in terra padano - quasi svizzera, completo di comunicazioni
terrestri, costi che superano i 300 miliardi di lire, la maggioranza
spesi sul territorio padano. Ma una grande alleanza internazionale ne
garantirà il riempimento, affermano i promotori, politici ed
imprenditori.
Alla fine del 1999 si da inizio alle operazioni di Malpensa, dopo essere ritardata di alcuni mesi, viene finalmente rispettata ma le infrastrutture di collegamento ancora latitano; Malpensa è scomodo ed i milanesi preferiscono Linate ed altri piccoli aeroporti per raggiungere le destinazioni volute; le compagnie low cost prendono la palla al balzo e offrono voli punto-punto molto più convenienti. L’accordo con KLM prospettato per creare sinergie tra Malpensa e Schipol viene abbandonato e KLM prenderà a breve la strada dell’incorporazione in Air France. Grande occasione persa, come facciamo a far crescere Malpensa? AirOne comincia a rosicchiare quote di mercato ad Alitalia sulla tratta Roma - Milano Linate. Tra il 2000 e il 2001 viene realizzato il piano Alitalia-AirFrance-KLM di fusione, concordato tra le compagnie. Alitalia otterrà il 35% del pacchetto azionario finale, il gruppo sarà il terzo a livello europeo. Le immense spese per la costruzione di Malpensa sono state sostenute dalla Comunità Europea e dallo stato italiano negli anni precedenti (prima e durante gestione Prodi dopo ribaltone - forse era meglio per la Lega stare con il centrosinistra per qualche anno, chissà perchè). Berlusconi dice NO ed il piano va a monte. Ma ormai l’aeroporto (e la frittata) è fatto, ma con cosa lo riempiamo? Occorre che Alitalia rimanga a Malpensa per qualche anno a tutti i costi (dei contribuenti, ma non importa).
Siamo nel 2002-2003 quando la crisi del trasporto aereo porta alla chiusura di molte compagnie aeree, altre si ristrutturano e/o si aggregano,
Alitalia continua a bruciare cassa ma adesso c’è una scusa in più (il
mercato va male) per non ottenere risultati nel risanamento. Gli altri
(vettori esteri) hanno capito che a breve-medio termine potranno
negoziare una fusione o un acquisto da una posizione molto vantaggiosa.
Grazie alla crescita delle low-cost, il modello punto-punto si impone
sul modello hub almeno per il medio-breve raggio: Alitalia si trova a
competere con le low cost sulla maggior parte delle tratte, avendo
tagliato pesantemente quelle intercontinentali.
- 2004-2006: occorre una ricapitalizzazione con soldi pubblici, più di un miliardo di €: durante il governo Berlusconi, Mengozzi e Cimoli si comportano da pre-commissari, tenendo d’occhio i bilanci senza colpo ferire. Era forse quello il momento di far partire tenendo un’asta pubblica, visto che i bilanci erano un minimo decenti.
- 2007-Marzo 2008: il governo Prodi lancia una gara internazionale per l’acquisizione della maggioranza di Alitalia. Solo AirFrance-KLM presenta un’offerta seria per l’acquisto della compagnia; le altre, tra cui quella di AirOne, sono inconsistenti: AF offre 1.7 miliardi di euro con COPERTURA TOTALE dei debiti del vettore e 2100 esuberi. La campagna elettorale di inizio 2008 ruota attorno alle dichiarazioni di Berlusconi su un salvataggio molto meno oneroso per la compagnia. Air France fiuta puzza di bruciato e scappa. Il governo entrante chiede a Prodi di ricapitalizzare con 300 M€; si tratta di un prestito ponte, ma il nuovo governo la trasferisce in conto capitale.
- Giugno-Settembre 2008: dopo un paio di mesi estivi di suspence per la preparazione del colpo finale, gli imprenditori italiani salvatori delle patrie aviolinee escono allo scoperto e Berlusconi supporta la (s)cordata CAI piena di aspettative per affari futuri con lo Stato italiano. Il piano: oltre 6000 (?) esuberi, copertura completa dei debiti da parte dei contribuenti, prendere o lasciare con lo spettro/ricatto del fallimento. Banca Intesa supporta l’offerta che oggettivamente sembra un affarone. Perchè tutto vada in porto basta che non vi sia altra scelta ed i tempi stringano. CAI ha questa opzione di giocare da sola ma ha il fiato di Berlusconi sul collo che ci si è giocato un pò di reputazione, anche loro se fossero stati liberi sul mercato avrebbero fatto come AirFrance e Lufthansa (e gli altri compratori potenziali, es: Aeroflot); spariti in attesa della fine. Business is business.
Ed andiamo ad oggi: ma che disastro! Qualcuno si rifiuta di farsi mettere con le
spalle al muro, incredibile! Di chi è la responsabilità della
situazione? Della CGIL e dei piloti? No è sua, del Berluska (capo degli
imprenditori che non vogliono il mercato) e dei suoi colleghi che dal
post tangentopoli hanno messo le mani sulle aziende a partecipazione
pubblica gestendone le privatizazioni con il permesso di politici della
sponda opposta non troppo agguerriti (per utilizzare un eufemismo).
Alcune sono andate in porto, altre no, ma tutte hanno fatto la fortuna
dei protagonisti, i lungimiranti imprenditori italiani (Beppe Grillo
aggiungerebbe: con le pezze al culo). E se tutta la CAI si prendesse
AirOne (finalmente Totò, ops Toto riuscirebbe a risolvere i suoi
problemini e non dovrebbero essere i cittadini a farlo) i cavalieri
coraggiosi avrebbero finalmente la loro bella linea aerea tutti
insieme, ripianandone i debiti e viaggiando in prima classe a loro
spese. Per loro il rapporto costi/benefici dell’affare Alitalia si è
alzato molto in questi ultimi giorni e, insieme al clima finanziario
globale deterioratosi, il rischio non vale più la candela. Che si
spegne lentamente ma inesorabilmente.
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