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La possibilità di vivere la natura attraverso uno spettacolare percorso in cresta ai Monti Peloritani da Dinnamare, affacciati sui due mari, Ionio e Tirreno, fino alle falde dell’ Etna, misteriose rocce megalitiche e letti morbidi di felci lungo profonde fiumare. Bellissime foreste alloggiate in luoghi remoti, zampilli d'acqua che d'inverno fluiscono verso mare. Aree attrezzate dove alloggiare vivendo la natura diventanto "Natura". Questo e tant'altro sono i Monti Peloritani , il Cervino di Sicilia.
I Monti Peloritani si allungano in direzione NE-SW per circa 65 km da Capo Peloro ai Monti Nebrodi, le sue propaggini vanno digradando nella valle del fiume Alcantara, che sfocia a Giardini Naxos. Ad ovest si uniscono con la catena dei Nebrodi, a Nord ed a Est sono delimitati dal Mar Tirreno e dal Mar Ionio dove sfociano le numerosissime fiumare che nascono dal' imponente catena montuosa della Sicilia nord-orientale. Diverse sono le aree attrezzate dei Monti Peloritani e diversi sono i sentieri che si inerpicano lungo le bellissime colline messinesi.
Le cime più elevate dei Peloritani sono:
Montagna Grande (1374 m) a Motta Camastra
Rocca Novara (1340 m) tra Novara di Sicilia e Fondachelli-Fantina
Pizzo di Vernà (1287 m) a Casalvecchio Siculo
Monte Poverello (1279 m) nella zona sud del Comune di Messina
Monte Scuderi (1253 m) tra Messina, Itala, Alì e Fiumedinisi
Monte Gardile (1228 m) a Mandanici
Monte Cavallo (1216 m) tra Mandanici, Fiumedinisi e Santa Lucia del Mela
Pizzo della Croce (1214 m) a Fiumedinisi
Monte Pomaro (1196 m) tra Fondachelli-Fantina e Francavilla di Sicilia
Portella Mandrazzi (1125 m) a Francavilla di Sicilia
Monte Antennammare (1124 m) sovrasta il centro di Messina
- La catena montuosa è formata da una lunga serie di burroni crinali e picchi. Dalla linea stretta di cresta, con altitudine media di 800-1000 m, scendono a valle diversi corsi d'acqua in gole profonde, che nel tratto medio-inferiore si aprono in ampie fiumare piene di detriti.
Le rocce più diffuse nella zona dei monti peloritani sono tutte di antica formazione ed in parte di origine magmatica e metamorfica. Prevalgono stratificazioni di scisti del Laurenziano, graniti, filladi, gneiss. È diffusa la presenza di suolo di origine arenaria, facilmente disgregabile ed asportabile dall'impeto delle acque. Tutto il materiale è stato sempre utilizzato nei secoli per costruire le strutture cittadine. Pietre uniche e particolari come l' anfibiolite venne utilizzata nel Duomo di Messina ed in altre strutture ecclesiastiche, anche della provincia come a Casalvecchio. Un link per approfondire la Geologia dei Monti Peloritani.
La foresta, fitta ed inpenetrabile una volta, è formata da antiche foreste di quercia, leccio, sughero e probabilmente anche di faggio, pino e castagno, attualmente rimangono solo poche formazioni che occupano all'incirca tremila ettari. La degradazione successiva, causata principalmente dall'uomo e dagli incendi, ha determinato il passaggio alla macchia, poi alla macchia degradata, alla gariga ed infine ad una vera e propria steppa, ma solo in alcune zone. Nelle zone più impervie, e quindi economicamente svantaggiose per l'uomo, si sono conservati piccoli nuclei di bosco naturale di roverella e di leccio o di macchia mediterranea con predominanza di erica, cisto, corbezzolo e ginestra. Uno spettacolo natural-botanico da non perdere per gli esperti del settore.
L' azione di rimboschimento, intrapresa già dal 1873 dal Consorzio per il Rimboschimento e successivamente dal 1920 dal Demanio Forestale dei Peloritani, ha infine creato pinete di pino domestico (Pinus pinea), Pino marittimo (Pinus pinaster), Pino d'Aleppo (Pinus halepensis) e boschi di Castagno, Leccio e Roverella. Attualmente, nella zona dei Peloritani vicini al città di Messina varie aree ed iniziative stanno creando una cultura naturalista che non può che "nutrire" la mente ad una ideologia ambientalista.
Le aree boschive del Demanio Forestale sono suddivise in :
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Demanio dei Peloritani orientali: Situato a cavallo del tratto iniziale dell'omonima catena montuosa a ridosso dei centri di Messina, Villafranca Tirrena, Saponara e Rometta, occupa oltre 4102 ettari. Sotto l'aspetto forestale vanno ricordati le pregevoli pinete di pino domestico ricadenti nei bacini idrografici dei torrenti Mili, San Leone, Ferraro, Tarantonio di cui la pineta Candelara è tra le più belle d'Italia. Tutte queste pinete ricadono nel territorio di Messina. Il sottobosco è costituito quasi esclusivamente dalle specie xerofile della bassa ed alta macchia mediterranea formata in prevalenza da Erica, Ginestra dei carbonai, Ginestra spinosa, Ginestra di Spagna, Cisto e Corbezzolo.
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Demanio Savoca: ha un'estensione di 762 ettari e comprende i comuni di Furci Siculo e Casalvecchio Siculo, sul versante sud dei Peloritani Centrali. La vegetazione più diffusa è costituita da latifoglie, in particolare da Castagno, Leccio, Roverella, che hanno gradualmente sostituito i primi impianti di Pini mediterranei di cui restano, comunque, numerose presenze. Una presenza vegetale lungo alcuni corsi d'acqua è costituita dal Platano orientale allo stato spontaneo, una pianta insolita in Sicilia che conferisce all'ambiente con la sua chioma irregolare una nota vivace e briosa.Il sottobosco è, anche qui costituito da macchia mediterranea.
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Demanio Mela: prossimo al Savoca ma ubicato sul versante opposto dei Peloritani, occupa una superficie di 1827 ettari ed è compreso tra i bacini montani dei torrenti Idria, Longano e Mela, nei comuni di Barcellona Pozzo di Gotto, Castroreale e S. Lucia del Mela. La vegetazione più diffusa è costituita da pini mediterranei e castagno ed a tratti anche di eucalipti ed acacie che formano una composizione multicolore di particolare bellezza. Vaste zone presentano una vegetazione costituita prevalentemente da macchia mediterranea.
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Demanio Cisterna: è il più piccolo dei quattro nuclei, con una superficie di 264 ettari. Ricade nei Peloritani Occidentali nel bacino montano del fiume Alcantara, sottobacino del torrente Zavianni, in territorio di Francavilla di Sicilia. La vegetazione più diffusa è costituita da pini mediterranei, querce e castagno. Troviamo, inoltre, aceri, frassini e ontani. Anche qui, lungo alcuni corsi d'acqua troviamo il Platano orientale allo stato spontaneo.
Fuori dalla zona demaniale, alle quote medio-alte, troviamo delle belle coltivazioni di castagno che anche se adesso parzialmente abbandonate formano dei boschi compatti ed a copertura totale. Altra pianta intensamente coltivata è il nocciolo. Piantagioni estese, spesso associate a castagno le troviamo nel territorio di Fondachelli Fantina e nel territorio di Antillo e Limina altre coltivazioni meno estese le troviamo nel territorio di Barcellona e Castroreale e sul versante opposto nel territorio di Francavilla di Sicilia e Motta Camastra.
Sui Monti Peloritani vi è l' habitat preferenziale per la maggior parte dei funghi, che si trovano in simbiosi con le radichette terminali degli alberi superiori, arbusti o erbe, stabilendo con esse uno scambio continuo di sostanze nutritive. Altri funghi vivono da parassita sulle piante arboree.
I funghi per crescere necessitano di un ambiente caldo e umido che è proprio quello della zona peloritana. Si può dire che il bosco ed il sottobosco provocano un effetto serra impedendo con l'ombreggiamento che il suolo si asciughi sotto i raggi del sole e mantenendo il calore, specie di notte, e l'umidità. Le specie di funghi che si possono trovare sui Monti Peloritani sono tantissime.
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A volte capita di guardarsi intorno e di notare dei particolari del nostro territorio che attirano, ma non così tanto da chiedere, domandarsi, informarsi su ciò che abbiamo notato. Quel qualcosa, a volte, colpisce la nostra vista e incuriosisce la nostra mente. Succede molto più spesso di quanto ci si aspetti dalle nostre parti.... infatti..... avrete sicuramente notato.....
Stiamo parlando dell'Abbazia di Roccamadore (oggi roccamotore), un altro dei tanti monumenti antichi che costellano il nostro territorio ma che nessuno conosce. Pezzi di storia che vanno via via perdendosi grazie a chi, non ha a cuore ciò che di bello possediamo e che potrebbe essere valorizzato. Un luogo così in altri posti del mondo attirerebbe miglia di v isitatori. Resti di antichissime Abbazie sparse nel mondo e meno importanti storicamente hanno solo il pregio di essere curate, pubblicizzate, gestite, ma sopratutto salvaguardate avendo cura di ciò che i secoli e gli eventi non hanno cancellato per sempre.
![](/images/larderiaweb/varie/abbaziaroccamadore/1058af04.jpg?1708707033000)
Questa tendenza si manifestò nel vallata del Valdemone, sia nella fascia occidentale che orientale. Furono centri propulsori le Abbazie di diversi ordini religiosi. In particolare, nella zona a sud della città il prete Scolaro fondò e dotò un monastero dedicato al Salvatore, a Zafferia l'Arcivescovo di Messina nel 1176 affidò la messa a cultura a quattro uomini venuti dalla Calabria, tra i torrenti Larderia e Mili la propulsione venne dall' Abbazia di S. Maria di Mili e, successivamente, tra i torrenti Larderia e Zaffaria da quella di S.Maria di Roccamadore gestita appunto dai monaci cistercensi.
Questa Abbazia fu fondata e dotata di rendite da Bartolomeo de Lucy, conte di Paternò e di Butera, che durante un viaggio aveva fatto il voto di fondare un monastero e di offrirlo ai cistercensi in cambio di una messa ogni anno in suffragio della sua anima quando sarebbe morto.
Nel settembre 1194, l'arcivescovo Riccardo di Messina concesse a Bartolomeo il permesso di costruire la sua Abbazia. A Giacomo, il futuro abate, venne concessa la libera elezione, l'esenzione dal giudizio del tribunale episcopale e vari privilegi minori. Nondimeno, S.Maria di Tremestieri doveva essere soggetta per tutto il resto alla normale giurisdizione episcopale e doveva dare alla Chiesa di Messina quattro candele ogni anno, e pane e vino all'arcivescovo quando questi visitava il monastero.
La conquista di Messina da parte di Enrico VI nel 1194, la sua entrata a Palermo il 20 novembre e la sua incoronazione il giorno di Natale, mise fine al periodo normanno in Sicilia ed assicurò la prosperità di S.Maria di Roccamadore, i cui possedimenti egli confermò poco tempo dopo.
Dall'elogio in carta pecora del 1197 apprendiamo che il nome di Roccamadore è mutuato da un'omonima chiesa sita nella Gallia Narbonese che il fondatore S.Amadore dedicò alla Vergine Maria della Rocca, perchè costruita su una rupe scoscesa. Più precisamente si tratta della cittadina di Roc Amadour en Quercy.
Il monachesimo cistercense (da questo sito abbiamo preso spunto e qualche foto per questo articolo - aspetto info da loro per diritti di copyright.... O non vedrete più questa frase o non vedrete più le foto... hihihi), in origine, rigettava la signoria della terra, la comodità, le scuole e i rapporti con i villaggi. E' escluso che un borgo, dunque, si formi intorno al monastero che viene costruito in luoghi da eremiti come boschi, terreni paludosi come dovevano essere i terreni tra le fiumare di Larderia e Zafferia a quel tempo; due tipi di beni gli erano indispensabili, l’acqua e la pietra, che il sito sicuramente forniva. Una esplorazione dimostrò l’esistenza di un pozzo sotterraneo, a cui si accede da una galleria, e una attigua sena che sicuramente appartenevano al cenobio. Le due fiumare, poi, abbondano di sassi e macigni.
Il territorio dove sorse l'Abbazia era quello di Tremestieri, che prenderebbe la sua denominazione da "tre Monasteri" (Monasterium S.M. de Tribus Monasteriis vocatum) o forse dal toponimo di origine greca Tremethousha (esiste una località omonima nell’isola di Cipro) ma che prima di allora si chiamava “Al kanays ‘at talat“.
I beni che il Conte Bartolomeo de Luce donò all’Abbazia di Roccamadore sono diversi ed elencati in alcuni testi cistercensi: L’abbazia di Roccamatore sin dalle origini possedeva tre mulini , frequentati anche da laici estranei al monastero, nonostante lo statuto del Capitolo generale lo vietasse espressamente.
Si ha infatti notizia di una donazione di Bartolomeo di Lucy, confermata dalla Regina Costanza, alla abbazia di Roccamadore dei mulini di Ruveto che egli aveva avuto in cambio dalla prioria di S.Leone di Pannacchio nel dicembre 1199. L’anno successivo dona alla chiesa di San Leone, presso Mongibello, un mulino denominato Nuovo, in cambio dell’altro mulino detto di Ruveto, già assegnato alla chiesa di Roccamadore.
La costruzione cistercense prevede che l’edificio sia costruito su di un modulo quadrato, lo stesso della Città di Dio, presente in tutti i rapporti di proporzioni sui quali si progettano le varie parti del monastero e più rigorosamente la chiesa; quadrato pure è il chiostro intorno al quale i monaci passeggiano meditando con il libro in mano. La chiesa ha la centralità della costruzione cistercense e tutte le altra parti sono subordinate; così la chiesa è progettata per ospitare gli altari per le celebrazioni dei monaci, per accogliere la Schola cantorum durante il canto delle ore sette volte al giorno ed una durante la notte. Non è stata progettata per accogliere fedeli estranei, e le sue vie di accesso sono solo con il dormitorio e il chiostro, e due porte laterali una posta a nord per i rari visitatori e una a sud per i conversi; sulla facciata che guarda ad ovest non vi sono aperture , ad eccezione di alcune finestrelle per far passare la luce. La pianta a croce latina della chiesa è funzionale ai riti che in essa si svolgono, ed ha nel transetto, anch’esso di forma quadrata ed affiancato da cappelle rettangolari coperte da un unico tetto, il suo punto focale; questo era lo stile delle Abbazie circestensi ma della chiesa di Roccamadore, purtroppo non è rimasto nulla, sappiamo solo che sull'altare maggiore vi era esposta una antichissima immagine della Madonna di fattura bizantina; ed è questa una delle poche notizie che abbiamo riguardo all'edificio e al suo contenuto. Abbiamo cercato di supplire alla grave mancanza di notizie sulla nostra abbazia, ricorrendo sia alla descrizione che ne fa il regio visitatore Mons, De Ciocchis, sia analizzando le sopravvivenze architettoniche di altra abbazie cistercensi tuttora esistenti di Sicilia e Calabria che abbiano avuto qualche rapporto con essa.
La Chiesa dell'Abbazia di Roccamadore è molto grande e costruita a forma di croce al di là dell'altare maggiore, è fornita di due altari con proprie cappelle, e ha il corpo, l'organo, sagrestia e torre campanaria. Il Monastero è affiancato da un chiostro con ventotto colonne di pietra e consta anche di due conclavibus o dormitori con le celle dei monaci e ha due orti ad uso dei monaci. Infine il monastero era dotato di una biblioteca ricca di molteplici volumi. Erano conservate nel Sacrario dello stesso Cenobio le reliquie di molti Santi, di cui le più insigni pare fossero: un pezzo del legno della S.Croce, le ossa di S.Lucia Vergine e Martire, di San Blasio, di Sant'Ignazio, e le ossa pelle e sangue di S.Nicola Cosentino, Monaco Cistercense.
Da questi elementi possiamo ipotizzare che corrispondesse alle tradizioni costruttive e alle forme architettoniche delle le abbazie cistercensi tuttora esistenti in Italia.
I monaci cistercensi associavano ufficio divino e lettura spirituale con il lavoro manuale, in cui venivano affiancati da conversi laici; la Abbazie erano autonome ed esprimevano inizialmente il proprio Abate, pur rimanendo sotto la sorveglianza dell'Abbazia fondatrice che godeva del cosiddetto "ius paternitatis" designandovi il primo abate, presiedendo all'elezione dei successori, compiendovi visite regolari con poteri disciplinari e punitivi e derimendo eventuali controversie che si venivano a creare tra i monaci e l'abate.
Per questo i primi Abati di Roccamadore furono tutti frati cistercensi, contemporanei al periodo di espansione e di floridezza dell'Ordine che dura fino a tutto il XIV secolo.
Alcuni atti antichi ci raccontano....
![](/images/larderiaweb/varie/abbaziaroccamadore/roccamadore3.jpg?1708707034000)
Nel 1268 l’abbazia di Roccamadore ebbe in gestione il casale di Gadara, compresi i suoi abitanti, nel territorio di Messina che era appartenuto al miles messinese Giovanni de Amato.
Beranardo di Adinolfo attesta di aver ricevuto da Matteo de Limogiis, per incarico di Bonsignore Lardea, di Caracosa sua moglie e di Giovanna figliastra di Bonsignore, 12 once d’oro ricavate dalla vendita di una vigna sita in Messina nella contrada "de Tribus Monasteriis".
Dopo la ribellione del 1282 contro gli Angioini, conosciuta come Vespri Siciliani, a cui Messina partecipò sconfiggendo e cacciando il presidio francese comandato da Eberto d'Orleans, Carlo d'Angiò, salpando con la sua flotta da Catona, sbarca presso l'Abbazia di Roccamadore disponendo tutto il suo esercito e le macchine da guerra. Da qui si muove per cingere d'assedio Messina.
Lo storico Tommaso Fazello ci fornisce il reddito dell'Abbazia di Roccamadore ai suoi tempi (si consideri che la prima edizione dell'opera del Fazello è datata 1557): 471 once d'oro.
Placido Samperi nel 1644 riferisce di una grave siccità che aveva colpito la zone 45 anni prima: una processione penitenziale composta da contadini e dalle Confraternite dei casali vicini, partì dal Monastero di Roccamadore per la via del Dromo recando con sè l'antichissima icona della Madonna, per chiedere "la desiderata grazia della pioggia." ( Arrivato il corteo "al casale detto delle Contesse" avvenne il miracolo di enormi nuvole nere, che arrivando dalle montagne portarono con sè la tanto agognata pioggia. In ricordo di questo prodigio le Confraternite presenti si impegnarono a portare ogni anno un cero in occasione della Purificazione della Beata Vergine il 2 di febbraio, giorno della sua solenne festa.
Nel 1735 Carlo III di Borbone reintegrò Messina di tutte le rendite e onorificenze che le erano state precedentemente alienate a causa della sconfitta subita dalla rivolta antispagnola del 1678, per opera soprattutto del suo Vicerè Don Eustachio De Laviefuille. Questi nel 1751 fu ospite del convento di Roccamadore come ricorda una lapide tuttora esistente, posta sui resti del vestibolo "cento passi il prospetto del tempio. La lapide, in marmo, fu posta dal Priore Ignazio Aiello in occasione dei lavori di abbellimento da lui stesso eseguiti due anni dopo la visita, nel 1753.
Il terribile terremoto del 1783 distrusse quasi interamente il monastero, che viene così sostanzialmente abbandonato dai Padri Cistercensi.Dopo l'Unità d'Italia, a seguito del decreto di soppressione degli Ordini Religiosi, il Monastero di Roccamadore fu venduto dal Demanio il quale lo demolì tutto e rizzò su quell'area una sontuosa casa da villeggiare a due piani. Detta casa, ceduta in appresso ai signori Targa, cadde completamente nel disastro del 1908.
Le terre intorno al Monastero furono acquistate dalle famiglie Stagno D'Alcontres, Puleo, Lella e Marino, che vi costruirono le loro ville.
L'opera di distruzione è proseguita in tempi recenti con la costruzione della statale 114, che ha separato il viale d'ingresso dai pochi resti ancora esistenti dell'Abbazia, divise in diverse proprietà, giacciono in stato di completo abbandono; per esempio i resti pur consistenti del viale d'ingresso sono in gran parte sommersi dai rottami e dalle carcasse di una concessionaria d'auto. Alcune parti in pietra sono smontate e ammucchiate nello stesso posto e potrebbero essere utilizzate per ripristinare lo stato primitivo, con l'impegno di qualche buon amministratore della nostra città.
Fonti: Articolo del Prof. Giuseppe Martino
www.cistercensi.info
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Domina Larderia Inferiore avendo una posizione invidiabile che, negli anni, servì agli antichi Principi di Larderia per un totale controllo sul paese. Oggi ormai trasandato conserva ancora delle bellezze architettoniche che risalgono al secondo periodo seicentesco. Tutto attorno al maestoso palazzo i giardini, segno di onore e distinzione a quel tempo, in cui si diceva ci fosse un pozzo dove Francesco Moncada buttava i suoi nemici allo stremo delle forze per dargli l'ultimo segno della potenza di questa famiglia che tra il 600' e l'800' costruirono parti importanti della storia dell'Isola e di gran parte del meridione.
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Facilmente raggiungiubile da Larderia un capolavoro dell’ architettura antica.
La chiesa, assieme all’ adiacente convento, fu costruita negli ultimi decenni del XI secolo, “inaugurata” ed affidata ai monaci basiliani, di rito orientale, nel 1092, con atto di donazione del Conte Ruggero il Normanno, il quale, oltre a donarle notevoli estensioni di terreno nelle vicine zone dell’ odierno I Quartiere del Comune di Messina, fece ivi seppellire il proprio figlio Giordano, morto in battaglia nei pressi di Siracusa in quell’ anno. Tuttavia, la presenza di un piccolo cenobio già in epoca bizantina nel luogo dove sorse, nel 1092, la nuova Abbazia normanna, è sufficientemente documentata. La presenza dell’ Abbazia, centro non solo religioso ma anche economico e (per un certo periodo di tempo) anche politico della vallata di Mili e di quelle circostanti, stimolò attività come la produzione della seta, la coltivazione dei terreni ad essa appartenenti e la molitura del grano, dando luogo alla formazione di un primo nucleo abitativo a monte dell’ Abbazia, nell’ alto bacino del torrente Mili (Mili Superiore, oggi Mili San Pietro) e successivamente Larderia e Mili Inferiore (oggi Mili San Marco).
Successivamente si aprì per l’ Abbazia un periodo di decadenza che però non portò mai al collasso dell’ istituzione religiosa, come avvenne per buona parte dei monasteri basiliani in Sicilia del tempo, probabilmente perché sostenuta economicamente dalla vivace economia agricola del territorio. La storia del cenobio si chiude miseramente nel 1866 quando, con le leggi eversive post-unitarie, il convento fu acquisito dal Demanio e venduto a diversi soggetti, mentre la chiesa rimase in possesso del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’ Interno e, da allora, versa in uno stato di totale degrado.
Il convento è oggi in precarie condizioni di stabilità, e buona parte di esso è già crollata, mentre la chiesa, agibile grazie ad un sommario restauro dei primi anni ’80, è inaccessibile date le condizioni precarie dell' arco d’ingresso complesso monasteriale che hanno comportato, nel dicembre del 2002, il sequestro dell’ intero complesso. E così un tale gioiello architettonico, ignorato da tutto e da tutti, cede progressivamente ai colpi che il tempo gradatamente gli assesta, sottraendolo alla fruizione dei cittadini e dei turisti che vi accorrono anche dall’ estero.
Dal punto di vista architettonico, la struttura della chiesa è molto semplice, ad unica navata e con tre absidi; l’interno è stato completamente spogliato degli stucchi e degli altari che l’adornavano da un discutibile restauro agli inizi del ‘900. Da ammirare le tre cupole della zona absidale, in tutto simili a quelle delle moschee nordafricane e, dall’interno, il gioco di archi sovrapposti, anch’ esso di ascendenza musulmana, che sostengono la cupola centrale, più grande, e le due minori ai lati. All’ esterno, tipico dell’ architettura normanna è il sistema di archi intrecciati, presente in molti monumenti siciliani del tempo e la decorazione dell’ abside ad archi poggianti su lesene. Bello anche il portale in marmo e pietra calcarea della semplice facciata, costruita più avanti della precedente nell’ intervento cinquecentesco di allungamento della navata, e lo stesso portone ligneo, risalente al ‘500. Da ammirare anche il tetto a travature scoperte del 1511, data che si legge su una trave. Il convento, in fase di degrado da decenni, è posteriore al 1092, perché ricostruito sul precedente, demolito o distrutto per motivi a noi ignoti. In esso alcuni studi hanno portato alla luce importanti resti che confermerebbero la presenza di un cenobio bizantino precedente a quello normanno ed anche una grande sala del piano terra adibita a palmento.
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