Larderia Story
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La concorrenza certo non doveva mancare, anzi, si ritiene fosse spietata tra i Mulini di Larderia. Nel 1834 erano censiti, nella provincia di Messina, 386 mulini ad acqua; di questi ben 24 si trovavano nella Vallata di Larderia.
Sorgevano, alcuni, in punti impervi lungo il torrente e tra le motivazioni che spinsero al formarsi di tanti insediamenti per la produzione della farina sicuramente la qualità della stessa doveva essere fattore dominante. A quel tempo i nostri avi utilizzavano animali da soma per raggiungere i mulini; ma perchè mai la loro posizione doveva essere così difficile da raggiungere? Doveva essere di ottima fattura la farina di Larderia!!!!
Un proverbio siciliano raccontava: "Quannu li mulinara si sciarriunu, tantu la farina veni bbona". Se si crede a questo detto.... ecco la spiegazione dei ben 24 mulini sparsi tra i costoni del torrente Larderia.
Viene più semplice credere che la grande quantità d'acqua del bacino sotto il monte dinnammare ha portanto a tale affolamento considerando che, i mulini di Larderia, macinavano anche il grano dei paesi limitrofi.
L'importanza dei Mulini di Larderia è documentata in un volume di Giacomo Galatti che tratta la drammatica rivolta di Messina del 1674-1678 contro gli spagnoli dove si cita un episodio che riguarda il nostro paesello.
I mulini di Larderia davano farina a tutta la città e distruggere i mulini della Vallata, che erano ben conosciuti dagli spagnoli per la qualità della loro produzione, avrebbe significato affamare tutta la città. Un serie di truppe vennero inviate per proteggere i mulini ed evitare il possibile attacco che avrebbe certamente prodotto una carestia.
Ancora una volta rileviamo la straordinaria importanza rivestita dalla nostra vallata nel'economia della città.
Imponenti acquedotti ad arcate portavano l'acqua per far muovere le maestose ruote in legno che azionavano le pesanti macine in granito e nell'intera valle risuanava il battere del salterello e i cigolii delle ruote in granito. Dell'Acquedotto rimangono ancora dei ruderi che è possibile osservare in diversi punti attorno al paese di Larderia principalmente lungo le sponde del torrente.
Gli ultimi mulini funzionarono sino a circa la metà del secolo scorso ed erano siti in contrada Zuccarataro e in contrada Paterna.
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- Giannantonio;
- Emmanuele;
- Jago, tenente generale dell'esercito e grande di Spagna;
- Guglielmo Raimondo Moncada e Galletti, principe di Monforte, Conte di S.Peri, Principe di Soria e Marchese di Santamarina.
Da tale ramo provengono i Principi di Calvaruso.
La Famiglia Moncada, originaria dai duchi di Baviera, fu nobile in Catalogna, dove possedette un gran numero di feudi e titoli e venne portata in Sicilia da un Guglielmo Raimondo, secondogenito del signore d’Aitona in Catalogna, sotto re Pietro I d’Aragona.
Possedette i principati di Alcontres, Calvaruso, Cassaro, Collereale, Larderia, Montereale, Rosolini, Sperlinga, le ducee di Archirafi, Bivona, Montalto; i marchesati di Malta e Gozzo, di Sortino, le contee di Adernò, Agosta, S. Antonio, Caltabellotta, Cammarata, Collesano, Sclafani; i feudi di Alagona, di Alzacuda, S. Angelo, Bagni, Belliscara, Benvini, Bifara, Boscaglia, Burgio e Torrevecchia, Buzzetta, Calastuppa, Caltavuturo, Cartolaro, Casacca, Cassibile, Castellammare del Golfo, Castelluzzo, Cicutanova, Ciminna, Cipolla, Colla, Crixunotta, Delia, Fanusi, Ferla, Francofonte e Cadera, Fucilino, Galassi, Galermo, Ginestra, Graniti e Mangiavacchi, Grotta dell’Acqua, Imposa, Longarino, S. Lorenzo, Malosalto, Malpasso, Mandranova, Misilcassimo, Misilmeri, Monastero, Morbano, Muglia, Noara, Pietrabianca, Pietralonga, Placabaiana, Poggioroso, Ponticello, Prato, Priolo, Roccapa-lumba, Sala, Saponara, Scandali, Scordia-Superiore, Solfara, Torretta, Tortorici, Ursitto, Vigliatore, Villadimare, ecc. ecc.
Dall’unico tronco dei conti di Agosta e di Adernò, dal quale proviene l’attuale ramo dei principi di Paternò, si staccarono diversi rami e tra questi quello dei baroni di Calvaruso e di Monforte, dal quale il ramo dei principi di Monforte ancora fiorente.
L’economia del lavoro non ci consente poter dire convenientemente di detta famiglia; dobbiamo soltanto contentarci di accennare ad alcuni individui di essa, che più eccelsero per cariche sostenute e per possesso di feudi e titoli.
Un Guglielmo Raimondo, quello stesso che portò la famiglia in Sicilia, sposò Lucchina Alagona che lo fece signore delle isole di Malta e Gozzo.
Un altro Guglielmo Raimondo fu conte di Agosta, e gonfaloniere del regno di Sicilia sotto re Pietro II.
Un Matteo, conte d’Agosta e di Adernò, fu gran siniscalco e governatore di Sicilia e vicario e capitan generale nei ducati di Atene e Neopatria.
Un Antonio, conte di Adernò, Centorbi, ecc., possedette la baronia di Miserendino o Sala di Madonna Alvira, che perdette essendo stato da re Martino dichiarato ribelle, fu gonfaloniere del regno e gran siniscalco e nel 1411 liberò la regina Bianca assalita nello Steri da Bernando Caprera.Un altro Guglielmo Raimondo, conte di Agosta, fu gran contestabile e capitan generale della cavalleria di Sicilia, maestro giustiziere del Regno, rapì dal castello Ursino la regina Maria e la portò in Spagna, dove vennero stabilite le nozze di lei con Martino il giovine, figlio di Martino duca di Montblanc, ottenne nel 1392 concessione di Malta e Gozzo con titolo di marchese, delle terre di Naro, Delia, Sutera, Mussomeli, Manfreda, Gibellina, Favara, S. Angelo Muxaro, Montechiaro, Misilmeri, Mineo, ecc., già dell’infelice Andrea Chiaramonte, ebbe ancora gli stati di Calatafimi, Alcamo, Calattubo, le isole di Favignana, Levanzo, Maretimo, le terre di Novara, Tripì, Saponara, ecc., onori e possedimenti che perdette per essere stato da re Martino dichiarato ribelle nel 1397.
Un Giovanni, secondogenito del precedente, fu barone della Ferla e conte di Adernò, liberò la regina Bianca nel 1410 dall’assedio che le stringeva in Siracusa Bernardo Caprera, fu gran siniscalco, gran cancelliere, maestro giustiziere, ecc.
Un Antonio fu capitano di giustizia in Caltagirone nel 1421 e commendatore dell’ordine di Malta nel 1427.
Un Matteo, con privilegio del 25 giugno 1407, ottenne il titolo di conte su Caltanissetta, fu capitano generale della cavalleria siciliana, ecc..
Un quinto Guglielmo Raimondo, conte d’Adernò, acquistò la città di Paternò, fu maestro giustiziere del regno, gran siniscalco, gran camerlengo, capitan generale delle armi, presidente del regno di Sicilia, ecc..
Un Giovan Tommaso, conte di Adernò e di Caltanissetta fu maestro giustiziere del regno, castellano del Real Palazzo di Palermo e del castello nuovo e vecchio di Licata nel 1479, e governatore della città di Agosta, vicario generale in Catania, ecc., vicerè in Sicilia.
Un Ambrogio, barone di Ferla, fu strategoto di Messina nel 1485.
Un Ugo, cavaliere di Malta e balio di S. Eufemia, fu vicerè in Sicilia e poi castellano di Tripoli nel 1526.
Un Antonio, conte di Adernò, ecc. fu capitano generale delle milizie del regno di Sicilia, capitan d’armi nella Val di Noto, acquistò la terra di Motta San’Anastasia e con privilegio dato a 30 agosto 1519 esecutoriato a 30 gennaio 1521 ottenne conferma degli antichi privilegi di sua famiglia.
Un Francesco, vicario generale in Siracusa, in Catania e nella Valle di Demone e di Noto, deputato del Regno e strategoto di Messina, ecc., con privilegio dato a 8 aprile 1565 esecutoriato a 3 giugno 1567, ottenne la concessione del titolo di principe di Paternò.
Un Cesare, figlio del precedente, principe di Paternò, fu vicario generale e capitan d’armi nella città di Siracusa e di Catania, fece entrare la ducea di Bivona, ecc. in sua famiglia per il matrimonio di lui contratto con Aloisia Luna e Vega.
Un Federico, barone di Tortorici, fu senatore di Palermo nel 1596-97 e capitano di giustizia della stessa città nel 1598-99.
Un Pietro, barone di Saponara, è annotato nella mastra nobile del Mollica (lista XI, anno 1597).
Un Giacomo fu senatore di Palermo nel 1623.
Un Antonio Moncada e Aragona, duca di Montalto, fu cavaliere dell’ordine del Toson d’oro nel 1609, abbracciò poscia lo stato ecclesiastico e fece parte della Compagnia di Gesù.
Un Cesare fu deputato del Regno, e, con privilegio dato a 20 giugno esecutoriato a 11 settembre 1628, ottenne il titolo di principe di Calvaruso.
Un Giuseppe Moncada-Pollicino e Castagna, con privilegio dato a 1 settembre esecutoriato a 24 dicembre 1628, ottenne il titolo di principe di Monforte, ed egli stesso con privilegio dato a 9 marzo esecutoriato a 20 maggio 1628 avea ottenuto concessione del titolo di conte di San Piero di Monforte.
Un Luigi Guglielmo Moncada Aragona e La Cerda, principe di Paternò, duca di Montalto, ecc., fu presidente del regno di Sicilia, dal 1635 al 1638, vicerè di Sardegna nel 1647, e di Valenza nel 1657, cavaliere del Toson d’oro, grande di Spagna tre volte, generale della cavalleria del Regno di Napoli, maggiordomo maggiore di re Carlo II, e cardinale di S. R. Chiesa, ecc. ecc..
Un Ignazio (fratello del precedente), fu governatore delle Fiandre.
Un Ferdinando Moncada e Gaetani fu generale delle galere di Sicilia nel 1675, vicerè di Sardegna e di Navarra, conservatore dell’ordine di San Giacomo e sposò Gaetana Branciforti e Moncada, che portò in famiglia Moncasa la ducea di San Giovanni e la contea di Cammarata.
Un Luigi, con privilegio dato a 24 dicembre 1690 esecutoriato a 9 giugno 1691 ottenne il titolo di principe di Lardaria.
Un Pietro fu capitano di giustizia in Catania nel 1688 e 1703.
Un Giacomo, principe di Calvaruso nel 1692, fu colonnello di fanteria negli eserciti di Spagna, cavaliere dell’ordine di San Gennaro nel 1738, maggiordomo della regina di Spagna.
Un Pietro, notato nella mastra nobile di Catania del 16 gennaio 1696 tra i regi cavalieri, tenne nel 1694-95 la carica di patrizio di Catania e forse fu egli stesso quel Pietro, dottore in leggi, figlio di Alessandro, che, con privilegio del 10 febbraro 1697, ottenne il titolo di barone di Santa Maria della Stella.
Un Giuseppe Moncada e Branciforte fu governatore della squadra delle galere di Sicilia e, con privilegio dato in Madrid a 7 marzo 1710 esecutoriato in Messina a 31 maggio 1713 ottenne il titolo di principe di Collareale.
Un Francesco, principe di Larderia, fu maestro razionale del tribunale del Real Patrimonio e vicario generale in Messina nel 1718.
Un Pietro Moncada e Paternò, maestro notaro del senato di Catania nell’anno 1745-46, fu giurato di detta città negli anni 1746-47.
Un Guglielmo, principe di Calvaruso nel 1745, fu gentiluomo di Camera, cavaliere dell’ordine del S. Gennaro nel 1747.
Un Letterio, principe di Rosolini, fu capitano di giustizia di Palermo nel 1746-47, deputato del regno nel 1745; un Pietro Moncada e La Rocca, principe di Montecateno, fu regio secreto della città di Messina, vicario generale in Milazzo nel 1746 e maestro razionale del tribunale del Real Patrimonio.
Un Tommaso Moncada e La Rocca dei principi di Calvaruso, fu arcivescovo di Messina nel 1743 e patriarca di Gerusalemme nel 1751.
Un Vincenzo, principe di Alcontres per la moglie Flavia Ardoino, ottenne per tale titolo riconoscimento del Grandato di Spagna a 26 luglio 1765, fu brigadiere nei reali eserciti, cavaliere del San Gennaro e maresciallo di campo.
Un Raimondo fu senatore di Messina nel 1753.
Un Francesco, principe di Sperlinga, figlio di Pietro, principe di Montecateno fu ascritto alla mastra nobile di Messina del 1798-1807.
Un Francesco Benedetto, un barone Pietro-Maria Moncada e Marullo; un Giuseppe-Eugenio, un Francesco Maria, un Giovanni e un Giacinto ottennero a 6 luglio 1767 di poter far uso del titolo di regio cavaliere.
Un Emanuele Moncada ed Oneto, principe di Monforte, fu tenente generale degli eserciti di Spagna, commendatore dell’ordine di San Giacomo della Spada e cavaliere di San Gennaro nel 1768, ottenne a 6 luglio 1772 attestato di nobiltà dal Senato di Palermo e fu grande di Spagna nell’anno 1780.
Un Francesco Moncada e Branci forte, principe di Larderia, di Rosolini, ecc. fu deputato del Regno nel 1782, consigliere del Commercio nel 1792, ministro plenipotenziario alla Corte Pontificia, gentiluomo di camera, cavaliere del San Gennaro.
Un Giovan Luigi, principe di Paternò, fu capitano di giustizia in Palermo negli anni 1777-78-79-80, cavaliere dell’ordine del San Gennaro e gran croce del Costantiniano e riacquistò per sentenza del tribunale del Concistoro del 25 giugno 1797, la contea di Adernò, Centorbi e Biancavilla, della quale ottenne investitura a 20 ottobre 1797;
Un monsignor Raimondo fu vescovo di Patti.
Un Giuseppe; un Carmelo, conte di San Piero, figlio di Giovanni Antonio, principe di Monforte, sono ascritti alla mastra nobile di Messina del 1798-1807.
Un Francesco Rodrigo Moncada-Aragona e Branciforte, principe di Paternò, conte di Caltanissetta, ecc. gentiluomo di camera di re Ferdinando IV, ecc., ottenne la carica di capitano di giustizia di Palermo con real diploma dato a 8 settembre esecutoriato a 9 ottobre 1811.
Un Francesco, barone di Gelfamuto, a 2 agosto 1814 ottenne parere favorevole per la chiesta concessione di un titolo nobiliare.
Un Pietro, conte di Caltanissetta, principe di Paternò, ecc. fu senatore di Palermo negli anni 1827-28-29-30, sedette alla camera dei Pari nel 1848, sposò Giuseppa nobile dei marchesi di Bajada, dalla quale ebbe Corrado, marito di Stefania nobile Starrabba dei principe di Giardinelli, dama di palazzo di Sua Maestà la regina Margherita, e padre di Pietro, cavaliere d’onore e di devozione dell’ordine di Malta, riconosciuto, con decreto ministeriale del 16 ottobre 1900, nei titoli di principe di Paternò, duca di S. Giovanni, conte di Caltanissetta, conte d’Adernò, Centuripe e Biancavilla, conte di Cammarata, barone della Motta di Santa Anastasia, barone di Melilli, barone di Grottarossa, barone delle Foreste di Troina, barone della Mendola, barone delle onze 164 annuali sopra i caricatori del regno, barone del grano uno dei tarì del frumento, signore di Nicolosi, signore di Belpasso, signore di Stella di Aragona, signore di Fenice di Moncada, signore di Gulfo, signore di Campisotto, signore di Centuripe e Biancavilla, signore di Malpertuso ossia Nuova Fenice, signore di Graziano, signore di Gallidoro, signore di Deliella, signore del Cugno. Il ramo dei principi di Monforte è oggi rappresentato da Giovanni-Eugenio Moncada e Vizzini, di Guglielmo Raimondo, di Giovanni Antonio, il quale ultimo, per il matrimonio contratto con Maria-Rosa Galletti, fece avere al ramo Moncada di Monforte diritto ai titoli di principe di Soria, marchese di Santa Marina, barone di Castania.
Arma: inquartato di nero al leone coronato d’oro e fusato in banda d’argento e di azzurro, che è di Baviera e sul tutto partito, di Moncada, che è di rosso, ad otto bisanti d’oro, due su due e di Aragona, che è d’oro, a quattro pali di rosso.
Cimiero: leone coronato d’oro, illeopardito, col capo rivoltato.
Motto: Et Simili Semper.
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La famiglia dei Moncada era in Sicilia già dai primi anni del quattordicesimo secolo. Ebbero grandissimo rilievo nella storia dell'isola e le loro vicende furono spesso legate a fatti di violenza e di sangue.
Nel Quattrocento divennero duchi di Monforte e intrecciarono legami fittissimi con la corona d'Aragona. Appena cent'anni dopo i Moncada avevano in mano le sorti di gran parte della Sicilia ed occupavano posti di prestigio e di potere.
Don Aloisio Moncada acquistò nel 1684 il casale di Larderia ed ottenne il titolo di Principe. Nel 1727, dopo che il figlio Francesco aveva preso il suo posto, il casale tornò sotto la giurisdizione del Senato. Lo stesso Francesco, come Vicario di Filippo V, Re di Spagna e Sicilia, rimase coinvolto in prima persona nei tumulti scoppiati a Messina nel 1718, a causa dell'aumento del prezzo del pane.
Un altro discendente, Guglielmo, partecipò nel 1720 alla cavalcata che si svolse a Messina in onore di Carlo V, terzo re di Spagna e di Sicilia.
Svariate sono le leggende legate alla proverbiale crudeltà e cupidigia dei Moncada; si narra infatti che il Principe, osservando dalle finestre del suo Palazzo le donne che andavano a prendere l’acqua al fiume, si divertiva a sparare sulle loro “cottare” (brocche per l’acqua) per il gusto di vederle bagnate e regalava poi il denaro necessario per comprarne altre.
Si racconta anche, che se qualcuno si fosse sposato, il Principe avrebbe avuto il “diritto alla prima notte”; la sposa doveva trascorrere la prima notte di matrimonio in casa del principe.
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Tra le formazioni cristalline dei Monti Peloritani e la costa corre una fascia di terreni attraversata dagli estesi greti delle fiumare ingombri di ciottolame vario. Dai greti di queste fiumare, come da inesauribili cave, nei tempi, la città di Messina trasse copioso e vario pietrame grezzo costituito prevalentemente da rocce di medio-alto grado (gneiss, graniti, micascisti, anfiboliti, marmi) ed anche calcari arenarie, gessi, argille, etc.. che hanno trovato il loro impiego nell’edilizia monumentale locale.
Acquista un significato di „unicità“ locale il ricorso ad anfiboliti, che negli antichi atti di compravendita per la fabbrica del Duomo venivano intese come „pietre nigre“. Sono state ampiamente utilizzate sia per il frontone del Duomo che per il pavimento della Chiesa di S. Francesco all’Immacolata. Questa pietra veniva estratta principalmente a Larderia, da quella che oggi è conosciuta come Contrada Catataglio (conosciuta in paese come Contrada Catacagghiu).
Per quest’ultima tipologia di materiale l’approccio combinato metodologico sia scientifico che storico ha portato - anche grazie al ritrovamento di vecchi atti notarili di fornitura - a discriminare le varie possibilità di ritrovamento esistenti indirizzandole verso le pendici di Dinnammare nei pressi del paese di Larderia. Una singolarità è anche il ritrovamento di tale raro materiale nella Chiesa di S.Onofrio a Casalvecchio Siculo.
Di tali attività estrattive e delle originarie cave rimane quasi nulla, ad eccezione dell’indicazione di areali tipici quali quelli di Gesso (per la varietà selenite) e delle pendici di Dinnammare (per le anfiboliti).
Scusate per il linguaggio un po tecnico che ho estrapolato dal sito dell’Università di Messina. Ma voi…….
Avevate mai sentito parlate della „Pietra di Larderia“?
Sicuramente no!!! A dir la verità neanch’io sino a qualche giorno fa quando, discutendo con una gran donna di Larderia mi parlava di questa pietra rarissima dal color blu opaco che, un tempo, arricchiva le Chiese più importanti della nostra città.
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