A volte capita di guardarsi intorno e di notare dei particolari del nostro territorio che attirano, ma non così tanto da chiedere, domandarsi, informarsi su ciò che abbiamo notato. Quel qualcosa, a volte, colpisce la nostra vista e incuriosisce la nostra mente. Succede molto più spesso di quanto ci si aspetti dalle nostre parti.... infatti..... avrete sicuramente notato..... 

 

Stiamo parlando dell'Abbazia di Roccamadore (oggi roccamotore), un altro dei tanti monumenti antichi che costellano il nostro territorio ma che nessuno conosce. Pezzi di storia che vanno via via perdendosi grazie a chi, non ha a cuore ciò che di bello possediamo e che potrebbe essere valorizzato. Un luogo così in altri posti del mondo attirerebbe miglia di v isitatori. Resti di antichissime Abbazie sparse nel mondo e meno importanti storicamente hanno solo il pregio di essere curate, pubblicizzate, gestite, ma sopratutto salvaguardate avendo cura di ciò che i secoli e gli eventi non hanno cancellato per sempre.

Tralasciando le sempre "inutili" critiche parliamo un pò della storia dell'Abbazia di Roccamotore, l' Abbazia di Tremestieri.
A fondare l' Abbazia di Roccamadore furono i Cistercensi che, seguendo la Regola di S. Benedetto, furono grandi bonificatori e agricoltori ed ebbero un notevole ruolo nelle vicende dell'economia agraria medioevale.  Questa caratteristica si sposava con la tendenza, verso la fine della dominazione normanna, a creare spazi per l'agricoltura attraverso lo sfruttamento delle fiumare, e cioè sfruttare gli spazi e le possibilità che offrivano gli irrequieti torrenti prima di esaurirsi nel mare.

Questa tendenza si manifestò nel vallata del Valdemone, sia nella fascia occidentale che orientale. Furono centri propulsori le Abbazie di diversi ordini religiosi. In particolare, nella zona a sud della città il prete Scolaro fondò e dotò un monastero dedicato al Salvatore, a Zafferia l'Arcivescovo di Messina nel 1176 affidò la messa a cultura a quattro uomini venuti dalla Calabria, tra i torrenti Larderia e Mili la propulsione venne dall' Abbazia di S. Maria di Mili e, successivamente, tra i torrenti Larderia e Zaffaria da quella di S.Maria di Roccamadore gestita appunto dai monaci cistercensi.

Questa Abbazia fu fondata e dotata di rendite da Bartolomeo de Lucy, conte di Paternò e di Butera, che durante un viaggio aveva fatto il voto di fondare un monastero e di offrirlo ai cistercensi in cambio di una messa ogni anno in suffragio della sua anima quando sarebbe morto.

Nel settembre 1194, l'arcivescovo Riccardo di Messina concesse a Bartolomeo il permesso di costruire la sua Abbazia. A Giacomo, il futuro abate, venne concessa la libera elezione, l'esenzione dal giudizio del tribunale episcopale e vari privilegi minori. Nondimeno, S.Maria di Tremestieri doveva essere soggetta per tutto il resto alla normale giurisdizione episcopale e doveva dare alla Chiesa di Messina quattro candele ogni anno, e pane e vino all'arcivescovo quando questi visitava il monastero.

La conquista di Messina da parte di Enrico VI nel 1194, la sua entrata a Palermo il 20 novembre e la sua incoronazione il giorno di Natale, mise fine al periodo normanno in Sicilia ed assicurò la prosperità di S.Maria di Roccamadore, i cui possedimenti egli confermò poco tempo dopo.

Dall'elogio in carta pecora del 1197 apprendiamo che il nome di Roccamadore è mutuato da un'omonima chiesa sita nella Gallia Narbonese che il fondatore S.Amadore dedicò alla Vergine Maria della Rocca, perchè costruita su una rupe scoscesa. Più precisamente si tratta della cittadina di Roc Amadour en Quercy.

Il monachesimo cistercense (da questo sito abbiamo preso spunto e qualche foto per questo articolo - aspetto info da loro per diritti di copyright.... O non vedrete più questa frase o non vedrete più le foto... hihihi), in origine,  rigettava la signoria della terra, la comodità, le scuole e i rapporti con i villaggi. E' escluso che un borgo, dunque, si formi intorno al monastero che viene costruito in luoghi da eremiti come boschi, terreni paludosi come dovevano essere i terreni tra le fiumare di Larderia e Zafferia a quel tempo; due tipi di beni gli erano indispensabili, l’acqua e la pietra, che il sito sicuramente forniva. Una esplorazione dimostrò l’esistenza di un pozzo sotterraneo, a cui si accede da una galleria, e una attigua sena che sicuramente appartenevano al cenobio. Le due fiumare, poi, abbondano di sassi e macigni.

Il territorio dove sorse l'Abbazia era quello di Tremestieri, che prenderebbe la sua denominazione da "tre Monasteri" (Monasterium S.M. de Tribus Monasteriis vocatum) o forse dal toponimo di origine greca Tremethousha (esiste una località omonima nell’isola di Cipro) ma che prima di allora si chiamava “Al kanays ‘at talat“.

I beni che il Conte Bartolomeo de Luce donò all’Abbazia di Roccamadore  sono diversi ed elencati in alcuni testi cistercensi: L’abbazia di Roccamatore sin dalle origini possedeva tre mulini , frequentati anche da laici estranei al monastero, nonostante lo statuto del Capitolo generale lo vietasse espressamente.

Si ha infatti notizia di una donazione di Bartolomeo di Lucy, confermata dalla Regina Costanza, alla abbazia di Roccamadore dei mulini di Ruveto che egli aveva avuto in cambio dalla prioria di S.Leone di Pannacchio nel dicembre 1199. L’anno successivo dona alla chiesa di San Leone, presso Mongibello, un mulino denominato Nuovo, in cambio dell’altro mulino detto di Ruveto, già assegnato alla chiesa di Roccamadore.

La costruzione cistercense prevede che l’edificio sia costruito su di un modulo quadrato, lo stesso della Città di Dio,  presente in tutti i rapporti di proporzioni  sui quali si progettano le varie parti del monastero e più rigorosamente la chiesa; quadrato pure è il chiostro intorno al quale i monaci passeggiano meditando con il libro in mano. La chiesa ha la centralità della costruzione cistercense e tutte le altra parti sono subordinate; così la chiesa è progettata per ospitare gli altari per le celebrazioni dei monaci, per accogliere la Schola cantorum durante il canto delle ore sette volte al giorno ed una durante la notte. Non è stata progettata per accogliere fedeli estranei, e le sue vie di accesso sono solo con il dormitorio e il chiostro, e due porte laterali una posta a nord per i rari visitatori e una a sud per i conversi; sulla facciata che guarda  ad ovest non vi sono aperture , ad eccezione di alcune finestrelle per far passare la luce. La pianta a croce latina della chiesa è funzionale ai riti che in essa si svolgono, ed ha nel transetto, anch’esso di forma quadrata ed affiancato da cappelle rettangolari coperte da un unico tetto, il suo punto focale; questo era lo stile delle Abbazie circestensi ma della chiesa di Roccamadore, purtroppo non è rimasto nulla, sappiamo solo che sull'altare maggiore vi era esposta una antichissima immagine della Madonna di fattura bizantina; ed è questa una delle poche notizie che abbiamo riguardo all'edificio e al suo contenuto. Abbiamo cercato di supplire alla grave mancanza di notizie sulla nostra abbazia, ricorrendo sia alla descrizione che ne fa il regio visitatore Mons, De Ciocchis, sia analizzando le sopravvivenze architettoniche di altra abbazie cistercensi tuttora esistenti di Sicilia e Calabria  che abbiano avuto qualche rapporto con essa.

La Chiesa dell'Abbazia di Roccamadore è molto grande e costruita a forma di croce al di là dell'altare maggiore, è fornita di due altari con proprie cappelle, e ha il corpo, l'organo, sagrestia e torre campanaria. Il Monastero è affiancato da un chiostro con ventotto colonne di pietra e consta anche di due conclavibus o dormitori con le celle dei monaci e ha due orti ad uso dei monaci. Infine il monastero era dotato di una biblioteca ricca di molteplici volumi. Erano conservate nel Sacrario dello stesso Cenobio le reliquie di molti Santi, di cui le più insigni pare fossero: un pezzo del legno della S.Croce, le ossa di S.Lucia Vergine e Martire, di San Blasio, di Sant'Ignazio, e le ossa pelle e sangue di S.Nicola Cosentino, Monaco Cistercense.

Da questi elementi possiamo ipotizzare che corrispondesse alle tradizioni costruttive e alle forme architettoniche delle  le abbazie cistercensi tuttora esistenti in Italia.

I monaci cistercensi associavano ufficio divino e lettura spirituale con il lavoro manuale, in cui venivano affiancati da conversi laici; la Abbazie erano autonome ed esprimevano inizialmente il proprio Abate, pur rimanendo sotto la sorveglianza dell'Abbazia fondatrice che godeva del cosiddetto "ius paternitatis" designandovi il primo abate, presiedendo all'elezione dei successori, compiendovi visite regolari con poteri disciplinari e punitivi e derimendo eventuali controversie che si venivano a creare tra i monaci e l'abate.

Per questo i primi Abati di Roccamadore furono tutti frati cistercensi, contemporanei al periodo di espansione e di floridezza dell'Ordine che dura fino a tutto il XIV secolo.

Alcuni atti antichi ci raccontano....

Il Capitolo Generale dell’Ordine Cistercense nel 1236 punisce l’Abate di Roccamadore per non aver rispettato  il divieto di mangiar carne in conformità con gli Statuti dell’Ordine.

Nel 1268 l’abbazia di Roccamadore  ebbe in gestione il casale di Gadara, compresi i suoi abitanti, nel territorio di Messina che era appartenuto al miles messinese Giovanni de Amato.

Beranardo di Adinolfo attesta di aver ricevuto da Matteo de Limogiis, per incarico di Bonsignore  Lardea, di Caracosa sua moglie e di Giovanna figliastra di Bonsignore, 12 once d’oro ricavate dalla vendita di una vigna sita in Messina nella contrada "de Tribus Monasteriis".

 

Dopo la ribellione del 1282 contro gli Angioini, conosciuta come Vespri Siciliani, a cui Messina partecipò sconfiggendo e cacciando il presidio francese comandato da Eberto d'Orleans, Carlo d'Angiò, salpando con la sua flotta da Catona, sbarca presso l'Abbazia di Roccamadore disponendo tutto il suo esercito e le macchine da guerra. Da qui si muove per cingere d'assedio Messina.

Lo storico Tommaso Fazello ci fornisce il reddito dell'Abbazia di Roccamadore ai suoi tempi (si consideri che la prima edizione dell'opera del Fazello è datata 1557): 471 once d'oro.

Placido Samperi nel 1644 riferisce di una grave siccità che aveva colpito la zone 45 anni prima: una processione penitenziale composta da contadini e dalle Confraternite dei casali vicini, partì dal Monastero di Roccamadore per la via del Dromo recando con sè l'antichissima icona della Madonna, per chiedere "la desiderata grazia della pioggia." (  Arrivato il corteo "al casale detto delle Contesse" avvenne il miracolo di enormi nuvole nere, che arrivando dalle montagne portarono con sè la tanto agognata pioggia. In ricordo di questo prodigio le Confraternite presenti si impegnarono a portare ogni anno un cero in occasione della Purificazione della Beata Vergine il 2 di febbraio, giorno della sua solenne festa.

Nel 1735 Carlo III di Borbone reintegrò Messina di tutte le rendite e onorificenze che le erano state precedentemente alienate a causa della sconfitta subita dalla rivolta antispagnola del 1678, per opera soprattutto del suo Vicerè Don Eustachio De Laviefuille. Questi nel 1751 fu ospite del convento di Roccamadore come ricorda una lapide tuttora esistente, posta sui resti del vestibolo "cento passi il prospetto del tempio. La lapide, in marmo, fu posta dal Priore Ignazio Aiello in occasione dei lavori di abbellimento da lui stesso eseguiti due anni dopo la visita, nel 1753.

Il terribile terremoto del 1783 distrusse quasi interamente  il monastero, che viene così sostanzialmente abbandonato dai Padri Cistercensi.

Dopo l'Unità d'Italia, a seguito del decreto di soppressione degli Ordini Religiosi, il Monastero di Roccamadore fu venduto dal Demanio il quale lo demolì tutto e rizzò su quell'area una sontuosa casa da villeggiare a due piani. Detta casa, ceduta in appresso ai signori Targa, cadde completamente nel disastro del 1908.

Le terre intorno al Monastero furono acquistate dalle famiglie Stagno D'Alcontres, Puleo, Lella e Marino, che vi costruirono le loro ville.

L'opera di distruzione è proseguita in tempi recenti con la costruzione della statale 114, che ha separato il viale d'ingresso dai pochi resti ancora esistenti dell'Abbazia, divise in diverse proprietà, giacciono in stato di completo abbandono; per esempio i resti pur consistenti del viale d'ingresso sono in gran parte sommersi dai rottami e dalle carcasse di una concessionaria d'auto. Alcune parti in pietra sono smontate e ammucchiate nello stesso posto e potrebbero essere utilizzate per ripristinare lo stato primitivo, con l'impegno di qualche buon amministratore della nostra città.

Fonti: Articolo del Prof. Giuseppe Martino
www.cistercensi.info