Hanno favorito la latitanza del superboss di Messina Giuseppe Mulè
attualmente in carcere. Fra questi un imprenditore, le cui forniture
venivano imposte alle aziende, ma che alla fine è rimasto stritolato
nella morsa delle richieste sempre più pressanti del clan. Dieci i
provvedimenti cautelari dell’operazione «Pilastro» eseguiti dai
carabinieri della Compagnia Centro e firmati dal Gip del Tribunale di
Messina, Antonino Genovese, su richiesta del sostituto della Dda, Rosa
Raffa. Un anno di indagini che hanno consentito di acquisire elementi
di prova contro il capomafia ergastolano Mulè che per un anno era
riuscito a rimanere in libertà, per effetto del differimento pena
concessogli perchè malato di Aids, e aveva ricostituito il proprio
gruppo criminale tornando a imporre il pizzo a commercianti ed
imprenditori.
Tra le persone finite in carcere nel blitz della
scorsa notte anche l’imprenditore edile Antonio Giannetto le cui
forniture di cemento venivano imposte agli operatori del settore
avvalendosi della forza intimidatrice del clan Mulè con minacce e
attentati. Giannetto è accusato di concorso esterno in associazione
mafiosa, e cioè di essere legato all’organizzazione criminale da un
rapporto di «mutuo scambio»: in cambio dell’attività «promozionale»
condotta in suo favore dagli uomini di Mulè, versava una quota dei suoi
guadagni. Anche lui però, alla fine, è rimasto vittima del meccanismo
del racket con richieste sempre più pressanti per aumentare la dazione
in favore del boss.
Le indagini dei carabinieri della Compagnia
Centro di Messina hanno inoltre permesso di fare piena luce sulle varie
fasi della latitanza del boss, che - colpito da un provvedimento
restrittivo di revoca del beneficio del differimento pena - si era dato
latitante, rifugiandosi prima a Catania, ospite di Roberto Giuseppe
Campisi, pregiudicato legato ai clan etnei, Mulè si era quindi
trasferito in Campania, dove è stato arrestato i primi di dicembre in
un appartamento di Scafati, in provincia di Salerno, insieme a Giuseppe
Oliviero, Lucia Cefariello e Virginia Carotenuto, ritenuti contigui
alla camorra.