Giuseppe Di Cristina nacque il 22 aprile 1923, a Riesi, in provincia di Caltanissetta, all'interno di una famiglia di consolidata tradizione mafiosa; suo padre e suo nonno, infatti, erano entrambi potenti uomini d'onore. A partire dagli anni Cinquanta, "la tigre di Riesi", così soprannominato per le doti di astuzia e ferocia, seppe rinverdire i fasti della mafia del nisseno, riorganizzandola e orientandone la potenza criminale verso i nuovi traffici della droga e del riciclaggio. Inviato nel 1963 al soggiorno obbligato a Torino, dopo il ritorno in Sicilia, alla ricerca di una copertura per i suoi traffici illeciti, lavorò come impiegato presso gli sportelli palermitani della Sicilcassa e poi, nel 1968, fu assunto come contabile alla Sochimisi, la società chimica mineraria a partecipazione regionale. Esperto tessitore di trame e collusioni, il boss di Riesi insieme al boss catanese Giuseppe Calderone, suo compare e amico, cercò di stabilire un accordo incruento tra la Commissione e Michele Cavataio, giudicato responsabile dello scoppio della prima guerra di mafia; i due non riuscirono però nel loro intento e così si arrivò alla strage di viale Lazio (10 dicembre 1969). La "tigre" seppe imporsi anche come uomo d'azione, guidando i mafiosi, camuffati da medici che, il 28 ottobre 1970, fecero irruzione nell'ospedale civico di Palermo per uccidere l'albergatore Candido Ciuni, già ferito su suo ordine, per una pesante lite avuta in precedenza. Dopo avere scontato un breve periodo di detenzione, una volta uscito, Di Cristina tornò indisturbato ai suoi traffici. Nel frattempo, a causa della sua accresciuta intesa con i fratelli catanesi Calderone, nacque l'inevitabile ostilità dei Corleonesi e dei loro alleati che individuarono in questa alleanza una possibile sponda per le famiglie palermitane, rivali nello scontro per la supremazia dentro Cosa Nostra. Sul finire degli anni Settanta due episodi contribuirono a rafforzare ulteriormente l'isolamento di Giuseppe Di Cristina all'interno della mafia siciliana: l'eliminazione del boss di Vallelunga Francesco Madonia, suo rivale nel nisseno ma alleato di Riina e il duro scontro con il "papa" Michele Greco, colpevole di avere tollerato che gli uomini di Corleone uccidessero il tenente colonnello dei Carabinieri Giuseppe Russo (20 agosto 1977), senza il consenso della Cupola. Messo alle strette e sentendo ormai di essere rimasto solo, "la tigre" giocò l'ultima carta a disposizione, in un tentativo disperato di rivalersi sui suoi nemici di sempre, i Corleonesi. Decise così di collaborare con i Carabinieri e, nel corso di alcuni colloqui segreti, promise dichiarazioni scottanti, anche se alla fine rivelò solamente le responsabilità dei clan emergenti, suoi avversari. Mentre gli inquirenti cercavano riscontri alle sue dichiarazioni, un commando di killer lo uccise a Palermo, il 30 maggio del 1978, ad una fermata dell' autobus.
 
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