Gaspare Mutolo è nato a Palermo il 5 febbraio 1940, Gaspare Mutolo, detto "Asparino" crebbe tra i vicoli di Pallavicino e le borgate di Mondello e Partanna. Abbandonata la scuola, iniziò a lavorare come meccanico in un'officina e quasi contemporaneamente si dedicò ai primi furti di macchine. Fin da giovane venne a contatto con la realtà mafiosa, dal momento che alcuni suoi familiari erano membri effettivi dell'organizzazione. Nel 1965 finì in carcere per la prima volta per furto. All'Ucciardone conobbe Salvatore Riina, allora boss emergente della mafia della provincia: dividendo la cella con il futuro "capo dei capi", Mutolo venne a conoscenza dei segreti di Cosa Nostra e, su suo invito, si mise sotto l'ala protettiva di Rosario "Saro" Riccobono, il capo della famiglia di Partanna Mondello. Dopo qualche anno di apprendistato, Mutolo fu "combinato" da Riina nel 1973 a Napoli, durante una riunione nell'abitazione del camorrista Lorenzo Nuvoletta. Ufficialmente affiliato alla famiglia di Partanna Mondello, divenne presto il braccio destro di Riccobono e uomo di fiducia di Riina per incarichi delicati. Mutolo si fece quindi largo nell'organizzazione mafiosa, prima come killer e poi come trafficante di droga, grazie anche al rapporto di amicizia stretto in carcere con il trafficante Koh Bak Kin, originario di Singapore e attivo lungo le rotte del sud est asiatico. Arrestato ancora nel 1976 e poi nel 1982, finì per alternare periodi più o meno lunghi di detenzione nelle carceri italiane ad altri in cui fu sottoposto a provvedimenti di soggiorno obbligato in Toscana. Durante una delle sue detenzioni, fu compagno di cella di Luciano Liggio; successivamente rivelò agli inquirenti di essere lui l'autore delle tele attribuite all'estro pittorico del vecchio padrino di Corleone. La simpatia istintiva nutrita da Riina nei suoi confronti permise ad "Asparino" di salvare la vita, quando, nel novembre del 1982, Riccobono e altri uomini della cosca di Partanna Mondello furono eliminati perché ritenuti ormai del tutto inutili per i fini egemonici perseguiti dai corleonesi. Per alcuni anni Mutolo ebbe anche l'onore - onere di essere l'autista di fiducia e il guardaspalle personale del nuovo capo di Cosa Nostra. Al termine del primo maxiprocesso istruito dal pool di Falcone e Borsellino, fu condannato a sedici anni di reclusione.Nel dicembre del 1991, Mutolo, ormai rinchiuso nel carcere di Spoleto, maturò la decisione di collaborare con la giustizia e, dopo la strage di Capaci, si rafforzò nella convinzione di dover rompere definitivamente con Cosa Nostra. Fu per questo che, a partire dall'estate del 1992, rese le sue dichiarazioni prima al procuratore della repubblica di Firenze Pierluigi Vigna e poi al giudice Paolo Borsellino, a pochi giorni dalla strage di via D'Amelio. L'insieme delle sue deposizioni fu subito giudicato straordinariamente importante, perché frutto delle rivelazioni ricevute direttamente da alcuni dei più influenti boss della Commissione di Cosa Nostra. Mutolo parlò del ruolo di mediatore tra politica e mafia svolto da Salvo Lima e confermò anche le responsabilità di Giulio Andreotti. L'uccisione di Lima, secondo Mutolo, fu un segnale che la mafia volle inviare al senatore a vita, a seguito della conferma dell'impianto accusatorio del primo maxiprocesso. Destarono clamore anche le sue rivelazioni sulle presunte collusioni con le cosche di alcuni magistrati palermitani, tra cui Carmelo Conti, Pasquale Barreca, Domenico Mollica, Francesco D'Antoni e Domenico Signorino, pubblico ministero al primo maxiprocesso e morto suicida il 3 dicembre 1992, proprio a seguito della pubblicazione sulla stampa di alcune indiscrezioni relative ad un suo coinvolgimento nelle confessioni di Mutolo. L'ex mafioso di Partanna Mondello fu inoltre uno dei principali testimoni di accusa a carico del questore Bruno Contrada, distaccato al SISDE, dopo una carriera iniziata nella squadra mobile di Palermo e continuata poi nelle file della Criminalpol.
 
{mosgoogle center}