Questa volta l'allarme - bottiglia di plastica arriva dagli Stati
Uniti: sul banco degli imputati una vecchia conoscenza, il bisfenolo A
(Bpa), sostanza che può avere effetti nocivi sul nostro organismo ed è
utilizzata da anni nella produzione di policarbonato, vale a dire
quella plastica trasparente e rigida, usata soprattutto per i biberon e
per i "boccioni" per l'acqua (tipici del mercato americano, usati per
alimentare i distributori di acqua fredda).
Come diverse altre sostanze chimiche, il Bpa è sospettato di poter interferire con il nostro sistema ormonale (in pratica si comporterebbe come un estrogeno), provocando un aumento di rischio di tumori al seno e alla prostata (entrambi legati, appunto, all'azione degli estrogeni), un'accelerazione della pubertà, problemi neurologici.
Già l'anno scorso avevamo rassicurato i nostri lettori (articolo pubblicato su Salute Test 69, agosto 2007): alle dosi oggi consentite nella produzione di imballaggi per alimenti il bisfenolo A non presenta pericoli, perché comunque la quantità che potrebbe passare nei cibi è bassissima. Lo riconfermava una recente valutazione scientifica dell'Efsa (European Food Safety Authority), l'ente europeo di vigilanza sulla sicurezza degli alimenti, datata alla fine del 2006. Rispettando i limiti consentiti, l'eventuale esposizione al bisfenolo A è troppo bassa per provocare problemi, anche nei poppanti. Rispetto ad allora, non c'è nulla che sposti la situazione.
In realtà il tema della pericolosità del bisfenolo viene riproposto
ciclicamente, ma gli studi che vengono portati a sostegno di questa
tesi sono sempre parziali e condotti su animali: anche per quest'ultimo
allarme si citano studi su topi.
Certo, non si può mai escludere che prima o poi il Bpa possa risultare
più nocivo del previsto: ma questo vale per qualsiasi sostanza chimica.
Per avere l'assoluta sicurezza, si dovrebbe rinunciare a utilizzare
sostanze sintetiche per contenere gli alimenti.
Per i poppanti, i dati dell'Efsa sono tranquilizzanti: i più a rischio
sarebbero quelli intorno ai 6 mesi, quando bevono la massima quantità
di latte da biberon (se sono allattati con latte artificiale, per gli
allattati al seno ovviamente il problema non esiste): ma anche per loro
i limiti di Bpa eventualmenbte assorbiti sarebbero al di sotto della
soglia considerata tollerabile.
In ogni caso la prima regola, per l'alimentazione dei neonati, resta preferire l'allattamento al seno, e questo elimina o riduce drasticamente la necessità del biberon. In seconda battuta, le mamme particolarmente preoccupate dal bisfenolo A possono sempre scegliere un biberon di vetro.
L'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), che dopo
l'allarme lanciato recentemente da alcune ricerche, sta analizzando i
pericoli che derivano dall'uso di questa sostanza chimica nella
plastica dei contenitori degli alimenti (tra cui i biberon) rassicura tutti. Infatti secondo gli esperti dell'Efsa, dopo l'esposizione al bisfenolo A,
il corpo umano metabolizza ed elimina molto rapidamente la sostanza a
differenza di quanto fanno i topi, che così risultano più facilmente
esposti agli effetti di questo contaminante.
Questo significa che non ci dovrebbero essere rischi né per i feti né per i neonati. Nel primo caso, le mamme eliminano così velocemente la sostanza che questa non può raggiungere il feto, nel secondo anche i bambini molto piccoli sono in grado di espellerla se vengono a contatto con dosi inferiori a un milligrammo per chilogrammo di peso corporeo al giorno.
In tempi in cui l'uomo si trucca e la donna porta la cravatta, non è
azzardato dire che l'unico vero simbolo della femminilità rimane il
reggiseno. Questo indumento è stato rivoluzionario, scandaloso,
protagonista, emblema dell'emancipazione quanto dell'immagine della
sensualità: la storia del reggiseno è lo specchio di quella del sesso
femminile. L'amato indumento compare ufficialmente cento anni fa: era
il 1907 quando 'Vogue' ne pubblicò un'immagine, ma già dalla fine
dell'Ottocento Herminie Cadolle
lo aveva ideato. Nasce, non a caso dal genio di una donna, per liberare
il gentil sesso dal giogo del corsetto: finalmente si può sorreggere il
seno senza sacrificare il benessere di fianchi e schiena. Da allora
sono stati infiniti i modelli che le epoche hanno proposto: da quello
stretto che appiattiva il seno negli anni Venti fino al mitico
Wonderbra di oggigiorno. Ma qual è il modello che fa per voi? I
reggiseni più diffusi sono i classici a coppa piena, che contengono e
sostengono, adattandosi a tutti i tipi di seno. Quando volete indossare
abiti che mettono in risalto il decolletè, l'ideale è il reggiseno a
balconcino, molto scollato, con ferretto, che solleva il seno. I
migliori modelli per chi ha un seno piccolo sono ovviamente i push-up:
imbottiti, arrotondano le forme, sostengono il seno e lo spingono verso
l'alto.
Non servono a sostenere ma hanno funzione puramente estetica, i
reggiseni a triangolo: molto scollati, adatti a seni piccoli e sodi.
Chi invece ha il problema opposto, quindi ha seni prosperosi e tendenti
a cedere sotto la forza di gravità, esistono reggiseni minimizer, con
ferretto e poco scollati. La scelta tra ferretto e non, riguarda
soprattutto la vestibilità: c'è chi lo trova scomodo e invece chi lo
ama per la sua funzione di sostegno. Figli di questo decennio sono
infine i reggiseni invisibili: si tratta di coppe in silicone, che
aderiscono al seno senza sostegno di cuciture o lacci. Ma la comodità
prima di tutto. Un buon reggiseno deve sorreggere senza strizzare e
tantomeno schiacciare: può essere molto dannoso per la salute del seno
e addirittura della schiena. Ha forti radici sociali questo indumento:
nel 1968 le femministe lo bruciavano in segno di protesta contro la
società maschilista, oggi lo vediamo su tutti i cartelloni
pubblicitari. Se è l'emblema dell'evoluzione femminile, trattiamolo con
il dovuto rispetto.
L'industria cosmetica l'ha capito: bisogna andare
avanti nella ricerca, ma in una direzione ben precisa, ossia quella
dell'ecologia. E i prodotti per capelli non devono essere da meno. Che
i parrucchieri prendano spunto da Aldo Coppola:
nei suoi saloni sono arrivati sterilizzatori per spazzole che non usano
detrgenti nocivi per l'ambiente. Inoltre si utilizza un impianto a
risparmio idrico per lavare i capelli. Tanto di cappello a chi si
impegna così per l'ambiente, pur volendo conservare quella di
frivolezza che i trattamenti per le donne devono avere. Anche voi in
casa vostra potete fare qualcosa, per esempio scegliendo lo shampoo
dell'hairstylist Rigenerante Natura:
un prodotto eco-friendly, con estratti di piante dell'America Centrale.
Pioniere della cura dei capelli in sintonia con l'ambiente, Aveda, che
dal 1978 utilizza princicpi eco-compatibili.
Oggi propone lo shampoo Smpooth Infusion,
con semi di guar e aloe vera biologica. Anche L'Oreal si avvicina
all'ambiente, creando uno shampoo ricco di Omega6 per donare volume e
robustezza ai capelli fini: Density Advacnced, per esperti. I
laboratori L'Oreal Professional si sono addirittura cimentati in
un'impresa davvero lodevole: assieme all'Unesco, sono 'Hairdresser of
the World Against AIDS', per insegnare ai parrucchieri dei paesi meno
sviluppati come comportarsi per prevenire il rischio di questo virus.
Prodotti naturali per i saloni Di Luca, che usano confezioni
biodegradabili e lozioni senza conservanti. Insomma, pare che pian
piano le maggiori industrie del mondo cosmetico stiano cominciando a
muoversi verso un futuro eco-sostenibile. Scegliete questi prodotti, e
anche voi darete un bel contributo alla causa.
Ore e ore al sole, lozioni pre-esposizione, protezione, idratazione,
vitamine, sudore e caldo fino a svenire. Poi, finalmente, quando la
pelle diventa bruna… è tempo di tornare in città! Finiscono le vacanze
e tac! In un batter d'occhio si ritorna al solito incarnato
grigio-smog, quello che poi non ci lascerà più fino a giugno prossimo.
Bastano due docce e un giorno in città per perché tutti gli sforzi per
abbronzarsi diventino vani. Ma quel poco che possiamo fare per
prolungare l'abbronzatura non è trascurabile. Anzi, servirà a farvi
tornare in ufficio o a scuola ancora belle brune, come se le vacanze
per voi durassero in eterno. Il fatto è che la tintarella che svanisce
è un processo assolutamente naturale e benefico, perché significa che
le cellule hanno un ricambio continuo e funzionante. L'unico modo per
intervenire è non accelerarlo, perché bloccarlo è impossibile (e
sarebbe pure nocivo). Come? Innanzitutto prediligete la doccia al
bagno, perché il lungo contatto con l'acqua favorisce la desquamazione.
Inoltre lavatevi con oli detergenti piuttosto che con i normali saponi,
per contribuire all'elasticità della pelle. Fondamentale è
l'idratazione: applicare prodotti idratanti è l'unico modo per
ritardare le inevitabili 'squame' post abbronzatura. Gli oli vegetali,
come quello di mandorla o di cocco, sono l'ideale per idratare e
nutrire a fondo la pelle.
La via della bellezza passa soprattutto per la pelle. L'importanza dei
prodotti con cui ci cospargiamo il corpo è assoluta, perché ne va non
solo dell'estetica, ma del benessere stesso del nostro fisico. Ecco
perché affidarsi a prodotti fatti in casa spesso è un buon metodo per
avere sotto controllo ogni ingrediente di ciò che faremo assorbire alla
nostra pelle, specchio della salute. Prendiamo per esempio lo scrub: è
una pratica assai utile, e davvero elementare da preparare da sole. Le
scelte sono tantissime: come parte abrasiva potete utilizzare: sale
(grosso o fino), zucchero, farina di mais (più granulosa di quella
bianca), cacao, polvere di caffè. Per la parte cremosa le opzione sono
tra latte detergente, olio, yogurt, miele.
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