Un bassorilievo sumero riporta la descrizione del processo di creazione della birra; si notano orzo, e pane cotto
successivamente inumidito nell’acqua per formare una poltiglia ed
infine una bevanda con la proprietà di “fare stare bene chi la beveva”.
Sulla base di questi rinvenimenti si suppone che i Sumeri siano stati la prima popolazione civilizzata della storia a produrre birra, bevanda che veniva anche offerta in dono agli Dei; è stato scoperto infatti un vero e proprio inno alla dea della birra Ninkasi, il cui testo altro non è che la ricetta su come produrla.
Dopo la caduta dell’impero sumero nel 2000 A.C. la Mesopotamia divenne terra dei Babilonesi, che assorbirono la cultura e l’arte di produrre birra; questa popolazione ne produceva ben 20 varietà, di cui 8 di puro frumento, 8 di puro orzo e 4 derivate da una mistura di vari cereali.
A quel tempo la birra era torbida e non filtrata,
perciò veniva bevuta con la cannuccia, per evitare che i residui molto
amari si depositassero sulle labbra. La birra fu persino esportata in Egitto, ad oltre 1000 km di distanza, e tale fu la sua importanza nella società babilonese che il re Hammurabi inserì
una legge nel suo famoso codice che stabiliva la quota massima di birra
concessa giornalmente agli abitanti, che variava, a seconda della
classe sociale, dai 2 ai 5 litri.
La birra divenne anche merce di scambio ma non poteva essere venduta;
si narra che Hammurabi condannò all’annegamento una donna per aver
venduto la propria birra in cambio d’argento. La pena dell’annegamento
era destinata anche a chi servisse della birra non buona.
Gli Egizi proseguirono nella tradizione birraria, migliorandone la
tecnica ed affinando il gusto del prdotto. Certe popolazioni del Nilo,
chiamate Fellahs, producono tutt’oggi la birra secondo la tradizione.
L’importanza della bevanda nell’antico Egitto fu tale che spinse gli scriba a coniare un nuovo geroglifico che indicava il “mastro birraio”.
Sebbene la birra, così come la conosciamo, abbia visto le proprie origini in Mesopotamia, altre bevande fermentate furono prodotte in tutto il mondo. Ad esempio la Chicha è una birra di granturco ed il kumiss è un drink prodotto con il latte di cammello fermentato. La parola birra deriva dal latino bibere (bere), e la radice della parola spagnola cerveza deriva da Ceres, la dea greca dell’agricoltura.
La birra continuò ad esser prodotta da Greci e Romani. Plinio parla della popolarità della birra ancor prima del vino e della vite. Sebbene a Roma la birra fu considerata una bevanda barbara
e soppiantata dal nettare degli dei, il vino (e dal suo dio, Bacco),
continuò ad esser prodotta negli altri territori dell’Impero dove
risultava difficile coltivare le viti ed ottenere vino. La birra al
tempo non era conservabile, era scura e non produceva schiuma.
La più antica testimonianza della produzione di birra sul suolo germanico risale all’800 A.C. ed è costituita da un’anfora
da birra rinvenuta vicino a Kulmbach. E’ invece risaputo che qualche
centinaia di anni dopo la nascita di Cristo, la birra costituiva un
comune articolo commerciale.
Lo stato d’alterazione creato dalla birra fu considerato divino, al punto che si pensava fosse la rappresentazione della Dea Birra che si impossessava del corpo del bevitore.
La produzione di birra assunse un ruolo fondamentale nella
quotidianità, non fu più considerata esclusivamente bevanda da offrire
in sacrificio agli dei, bensì trovò spazio su gran parte delle tavole
degli antichi Germanici.
La non-deperibilità della birra, data dalla presenza di alcool,
contribuì all’innalzamento dell’età media ed al miglioramento della
salute della popolazione.
Fino al Medioevo, il processo di birrificazione era appannaggio delle sole donne.
Lentamente questa prerogativa svanì man mano che la birra cominciò ad
esser prodotta nei monasteri; questa arte fu adottata dai monaci (belgi
e olandesi in primis) per mantenere vivo il legame tra la birra e la
religione. Le prime donne babilonesi che produssero birra erano infatti
sacerdotesse del tempio.
Veniva prodotta la birra “leggera”, adatta ad esser consumata
quotidianamente, e la birra ad alto contenuto alcolico, destinata alle occasioni speciali. Durante i matrimoni in
Gran Bretagna, un tempo veniva prodotta la “birra della sposa” (bride
ale). Pian piano la birrificazione divenne un’attività prettamente
maschile; i monaci migliorarono il gusto ed i valori nutritivi delle
loro birre, che affiancavano a pasti frugali, essendo permessi fino a 5 litri giornalieri a testa.
In poco tempo i monaci cominciarono a produrre molto più del
necessario, e iniziarono a vendere la quantità eccedente; con
l’indebolimento della chiesa la birrificazione fu eseguita da coloro
che prima si limitavano a commerciare. Talune birre ottennero il marchio reale e l’approvazione delle classi dominanti.
Purtroppo i regnanti del tempo intuirono i possibili guadagni sul
commercio della birra, e spinsero per impedire ai monaci, che non
pagavano tasse, di operare in un campo talmente redditizio.
La birra era consigliata perché
considerata più salutare dell’acqua che, al tempo, era spesso
contaminata; col passare del tempo il luppolo sostutuì una mistura di
erbe chiamata “Grut”, composta tra l’altro da bacche
di ginepro, prugnolo, corteccia di quercia, assenzio, seme di cumino
selvatico, anice, genziana, rosmarino, che giocò un ruolo nefasto nella
storia della birra.
Spesso le erbe utilizzate per il Grut erano velenose,
allucinogene o mortali; gli inspiegabili decessi fondarono la credenza
che esistessero delle Streghe della birra, perseguite durante
l’Inquisizione; si narra che l’ultima strega sia stata arsa al rogo nel
1591.
Con l’uso del luppolo la birra assunse un aspetto ed un gusto simili agli attuali. Nel 1516 Guglielmo IV duca di Bavaria promulgò la Legge Germanica di Purezza della Birra,
stabilendo che per la produzione della stessa fossero impiegati
esclusivamente orzo (successivamente anche malto d’orzo), luppolo ed
acqua pura.
Al tempo, l’uso del lievito era sconosciuto; la fermentazione era ancora un processo casuale.
Si può affermare che la legge di Guglielmo IV sia la più antica
regolamentazione in materia culinaria, ed i mastri birrai tedeschi
ancora si attengono a tale dettame.
Lo sviluppo industriale provocò agli inizi del XIX sec. un enorme miglioramento nella birrificazione; due invenzioni rivoluzionarono particolarmente il processo, il motore a vapore di James Watt e la refrigerazione artificiale di Carl von Linde, che permise di produrre birra eccezionale anche in estate.
L’invenzione di Watt applicata al processo di birrificazione creò un nuovo tipo di Birrifici, che si autodefinirono Birrifici a vapore, mentre la refrigerazione di Linde permise di mantenere i 4 – 10 gradi centigradi necessari
per produrre una buona lager, cosa prima attuabile solamente con
l’impiego di grossi blocchi di ghiaccio o disponendo di celle fredde e
profonde.
L’impianto di raffreddamento di Linde fu adottato per la prima volta in un birrificio di Monaco di Baviera.
Importanti scoperte scientifiche furono inoltre fatte da Louis Pasteur,
che pubblicò nel 1876 un trattato sulla birra dal titolo “Etudes sur la
Bière”
Un’ulteriore scoperta va attribuita allo studioso danese Christian
Hansen, che isolò una singola particella di lievito, riuscendo
successivamente a riprodurne i microrganismi in una coltura
artificiale, aumentandone la purezza e perfezionando il gusto della
birra.
Sul piano economico va citato il forte impatto che il prezzo della
birra e gli effetti di una sua seppur minima variazione; ad esempio,
nel 1888 i cittadini di Monaco insorsero quando questo aumentò.
Il Thc è il principio attivo più importante tra il centinaio di principi attivi, dei quali circa
una sessantina appartengono alla classe dei cannabinoidi. Al delta-9-tetraidrocannabiolo, la cui sigla
è Thc, si devono la maggior parte delle azioni curative
della pianta.
La cannabis sativa contiene
anche altri cannabinoidi: il delta-8Thc, che non è psicotropo,
ma che sembra avere anch'esso proprietà curative che aiutano a contrastare il vomito in particolare
nei bambini malati di leucemia, e il cannabidiolo, capace di contrastare
le convulsioni.
Di recente, è stato scoperto
che nel cervello umano esistono dei recettori specifici per i cannabinoidi
e che il nostro organismo produce una sostanza chiamata anandamide, in grado
di interagire con questi recettori. Ciò ha permesso di scoprire
l'esistenza di un vero e proprio "sistema cannabinoide endogeno",
il cui ruolo all'interno dell'organismo non è ancora
chiarissimo, ma il cui studio permetterà di capire i meccanismi che
sono alla base delle proprietà curative dei cannabinoidi. Ciò che non si sà ancora sono le
principali azioni farmacologiche che il Thc ha sul cervello.
Principalmente e in maniera molto generale, vi è una notevole
diminuzione della sensibilità al dolore.
Utile, il thc, come analgesico
nei confronti di disturbi come l' emicrania o i dolori mestruali. Come
analgesico, in quest'ultimo caso, il Thc è adatto in quanto ha anche
una funzione miorillassante, cioè decontrae i muscoli. Inoltre, il Thc
ha un'azione antinfiammatoria, quindi, è utile anche in altri tipi di
dolori come quelli dovuti ai reumatismi. I cannabinoidi hanno sui
muscoli un effetto miorilassante e antispastico, di conseguenza aiutano
a decontrarre la muscolatura, tra i principali sintomi di malattie come
la sclerosi multipla o il morbo di Parkinson. Da un punto di vista
clinico, i recettori per il cannabinoidi Cb1 sono concentrati
maggiormente nei gangli basali e nel cervelletto, cioè nelle aree del
cervello deputate alle funzioni motorie.
I cannabinoli hanno effetto broncodilatatore,
cioè aiutano a dilatare i bronchi e facilitando la respirazione.
Questa proprietà potrebbe essere sfruttata da chi soffre di asma fermo restando che comunque il fumo
danneggia comunque i polmoni.
Quell'insieme di cure a base di farmaci chimici che si usano per combattere i tumori. Gli effetti collaterali che accompagnano questo trattamento sono spesso molto pesanti. I farmaci estratti dalla cannabis aiutano ad alleviare alcuni degli effetti collaterali, in particolare il vomito e la nausea.
Recenti studi hanno anche dimostrato che un cannabinoide sintetico, il dronabinolo, riesce anche a stimolare l'appetito, producendo un significativo aumento di peso, nelle persone malate di Aids e colpite dalla cosiddetta sindrome del deperimento. I derivati della cannabis non interferiscono con i farmaci antivirali, cioè quei medicinali utilizzati per combattere i virus come l'Hiv, che provoca l'Aids.
Il glaucoma, essendo un serio disturbo della vista
caratterizzato dall'aumento della pressione intraoculare, potrebbe essere curato dal delta-9-Thc che sembra
essere utile in quanto riuscirebbe a diminuire la pressione
interna.
Il
morbo di Alzehimer, quello di Parkinson, la corea di Huntington, sono
tutte malattie definite neurodegenerative perché sono provocate da una
degenerazione delle cellule nervose. Studi condotti da un ricercatore
italiano, Maurizio Grimaldi, hanno scoperto che il cannabidiolo, un
componente non psicoattivo della cannabis, aiuta a proteggere le
cellule del cervello.
Il cannabidiolo sembra avere anche proprietà anticonvulsionanti, cioè che aiutano a combattere le convulsioni, uno dei sintomi più comuni dell'epilessia. Alcuni malati sostengono che il cannabidiolo li ha aiutati a superare con più facilità le convulsioni.
Negli Usa, in Israele, in
Germania, in Gran Bretagna e nei Paesi Bassi esistono due cannabinoidi
sintetici già in commercio: il dronabinol e nabilone. Questi
farmaci vengono venduti dietro presentazione di ricetta medica per curare
gli effetti collaterali della chemioterapia e per stimolare l'appetito
nei malati di Aids. L'istituto di medicina dell'Accademia nazionale delle
scienze degli Stati Uniti ha riconosciuto ufficialmente
i benefici derivati dalla cannabis nella cura di determinate malattie.
Nello stesso documento l'Accademia americana ha portato all'attenzione
del mondo scientifico il problema della ricerca di una somministrazione
della cannabis diversa dal fumo. Difatti, l'inalazione dei cannabinoidi tramite il fumo
provoca danni simili a quelle delle sigarette che vanno da una semplice
irritazione delle vie respiratorie a problemi molto più seri,
come il tumore ai polmoni. Per questo la comunità scientifica
internazionale sta cercando metodi di somministrazione alternativi al
fumo che, nelle persone malate, ha effetti ancora più nocivi.
Si parla di utilizzare delle pillole ma
l'assorbimento attraverso il tratto grastrointestinale è molto
lento e gran parte del principio attivo viene inattivato dal passaggio
nel fegato. Un'altro modo di somministrazione che si sta sperimentando
è quello inalatorio, cioè i principi attivi della cannabis
vengono inalati modello aerosol. Allo studio anche cerotti.
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Non capita spesso che un responsabile governativo, di qualsiasi governo, si sbilanci ufficialmente, quando viene sollecitato sull'argomento dell'esistenza degli UFO. Non capita anzi, quasi mai. Per questo c'è stato grande sbalordimento, a Tokyo, tra i giornalisti presenti alla conferenza stampa del capo di gabinetto del governo giapponese Nobutaka Machimura. A un certo punto della conferenza stampa un avvocato facente parte dell'opposizione ha chiesto se il governo giapponese sia in grado di dare spiegazioni plausibili alle ultime ondate di avvistamenti in terra nipponica. E invece del solito 'no comment', Machimura ha risposto candidamente:
"Il governo può solo offrire risposte stereotipate a questa domanda. Personalmente, io credo definitivamente che esistano"
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