Michele Greco nacque a Palermo il 12 maggio del 1924 il potente boss che fu soprannominato il papa, per la sua riconosciuta abilità nel mediare le dispute tra le diverse
famiglie.
Dopo la morte del padre Giuseppe, detto " Piddu u
tinenti", diresse a lungo il mandamento di Croceverde - Giardini.
Potente gabellotto fin da giovane, poi divenuto proprietario terriero
grazie a minacce ed estorsioni, amava frequentare i salotti della
Palermo bene. La
Favarella, la sua tenuta di Ciaculli, del resto era visitata da
politici, banchieri, professionisti e aristocratici decaduti che vi si
recavano per una battuta di caccia o per un banchetto. Nella stessa
tenuta erano stati ricavati alcuni rifugi sicuri per i latitanti
mafiosi e anche una raffineria di eroina.
Il nome del "papa" venne associato a Cosa Nostra per la prima volta dal
cosiddetto rapporto dei 162, elaborato nel 1982 da Ninni Cassarà e poi
divenuto atto fondamentale per la costruzione del primo maxiprocesso.
Nominato nel 1978 capo della commissione di Cosa Nostra, dopo l'espulsione di
Badalamenti, non ostacolò l'avanzata dei corleonesi, dei quali divenne anzi
alleato.
Mandante, insieme con il fratello Salvatore, dell'omicidio del
consigliere istruttore Rocco
Chinnici, terminò la sua latitanza il 20 febbraio 1986. Nel marzo del
1991, nella attesa dell'appello del maxiprocesso, Greco ed altri
imputati furono scarcerati per decorrenza dei termini di carcerazione
preventiva da un discutibile provvedimento della Corte di cassazione.
Un decreto del governo, ispirato da
Giovanni Falcone,
divenuto nel frattempo direttore degli Affari penali del ministero di
grazia e giustizia, ripristinò la detenzione per i boss scarcerati, tra
cui anche il vecchio papa.
Nitto
Santapaola nacque il 4 giugno del 1938 in una famiglia di modeste
condizioni sociali, residente nel degradato quartiere San Cristofaro di
Catania. Da ragazzo studiò dai salesiani e frequentò l'oratorio, ma
abbandonò presto la scuola e, attratto dai facili guadagni, realizzò le
prime rapine. Venditore ambulante di scarpe e articoli da cucina prima,
titolare di una concessionaria di auto poi, in realtà
Santapaola, soprannominato "il cacciatore", fu uno dei capi mafia più potenti e sanguinari della Sicilia
orientale.
La sua fedina penale iniziò a riempirsi nel 1962 con una denuncia per
furto e associazione per delinquere. Dopo essere stato diffidato dalla
questura di Catania nel 1968 e inviato al soggiorno obbligato dopo due
anni, nel 1975 fu invece denunciato per contrabbando di sigarette. Nel
1980 fu fermato durante le indagini sull'omicidio del sindaco di
Castelvetrano, Vito Lipari, ma l'accusa non fu provata e anche la
successiva proposta di soggiorno obbligato non fu accolta. Del tutto
indisturbato, Santapaola portò così a termine la scalata ai vertici di
Cosa Nostra, eliminando prima Giuseppe Calderone, il capo mafia più
influente di Catania (8 settembre 1978) e poi commissionando ai
corleonesi la cosiddetta "strage della
circonvallazione" a Palermo,
quando il rivale Alfio
Ferlito fu ucciso insieme ai carabinieri che lo stavano scortando in
carcere (16 giugno1982). Furono questi i due episodi più sanguinosi che
contraddistinsero la feroce guerra per il predominio a Catania e nella
Sicilia orientale.
L'ascesa del "cacciatore" fu senza dubbio agevolata dal patto di ferro stretto con
Totò Riina. Per ricambiare il favore ricevuto con l'omicidio
Ferlito, Santapaola
organizzò l'uccisione di Carlo Alberto Dalla Chiesa, prefetto di
Palermo.
Condannato all'ergastolo per la strage della circonvallazione, per
quella di via Carini, invece, Santapaola fu riconosciuto colpevole in
primo grado ma assolto in appello; successivamente la Corte di
cassazione decise di far ripetere il processo. Nel 1982 si diede alla
latitanza, pur essendo malato di diabete e affetto da strani disturbi
riconducibili ad una rara forma di licantropia, tanto da essere
chiamato "il licantropo" perfino dai suoi due figli, traditi da una
intercettazione telefonica, avvenuta poco prima della sua cattura. Dopo
undici anni di latitanza, fu catturato all'alba del 18 maggio 1993 in
una masseria di
Mazzarone, nelle campagne tra Catania e Ragusa, al termine
dell'operazione denominata in codice "Luna Piena".
I collaboratori di giustizia, primo fra tutti Antonino
Calderone,
fratello di Giuseppe, rivelarono le commistioni tra "il cacciatore" e
il "comitato d'affari "composto da politici, imprenditori e anche
magistrati corrotti che controllò Catania negli anni Ottanta:
Santapaola fu, infatti, in stretti rapporti con i "cavalieri del
lavoro"
catanesi, messi sotto accusa dal giornalista Giuseppe Fava che pagò con
la vita le sue coraggiose denuncie. Ormai in carcere, Santapaola subì
un doloroso sfregio: il boss rivale Giuseppe
Ferone, divenuto un collaboratore di giustizia, approfittò del regime
di semilibertà e gli uccise la moglie Carmela Minniti (1 settembre
1995). Il 26 settembre 1997, la Corte d'assise di Caltanissetta lo ho
condannato di nuovo all'ergastolo: questa volta per la strage di Capaci.
Giovanni Brusca è nato a Palermo il
20 maggio del 1957, "u verru", vale a dire il maiale, seguì fin da
giovane le orme paterne, intraprendendo la carriera mafiosa e
diventando un
killer feroce e responsabile di diverse decine di
omicidi.
Dopo alcuni anni di carcere, nel 1991 riprese in mano le redini della
famiglia di San Giuseppe
Jato, temporaneamente affidata a Balduccio Di Maggio, in seguito
divenuto collaboratore di giustizia. È stato un protagonista indiscusso
dell'ultima stagione di sangue inaugurata da Cosa Nostra con l'omicidio
di Lima. E' ormai
tristemente noto come il boia di "Capaci",
vale a dire l'uomo che azionò il telecomando che fece esplodere
l'autostrada lungo la quale transitavano in auto il giudice
Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e la
scorta. Dopo l'arresto di Riina e Bagarella prese il comando dell'ala militare dei
corleonesi, in accordo con
Bernardo Provenzano. Fu arrestato il 20 maggio 1996 a
Cannitello, in provincia di Agrigento, in compagnia del fratello Vincenzo. Dopo una fase iniziale in
cui tentò di depistare gli inquirenti, a partire dalla seconda metà del
1997, sembra che abbia iniziato a rilasciare interessanti
dichiarazioni. Già condannato all'ergastolo per l'uccisione di Ignazio
Salvo, è attualmente imputato nei processi per la strage di Capaci, per
gli attentati del 1993 a Milano, Firenze e Roma e per
l'omicidio di Giuseppe, il figlio undicenne
di Santino Di Matteo, strangolato e sciolto nell'acido dopo una
prigionia di due anni al fine di convincere il padre a ritrattare.
Pietro Aglieri è nato il 6
giugno del 1959 nel rione della Guadagna, a Palermo. Da sempre è
conosciuto con il soprannome di "
' u signurinu ", a motivo della ostentata ricercatezza
nell'abbigliamento. Dopo aver studiato presso il seminario
arcivescovile di Monreale e aver prestato il servizio militare come
paracadutista nella brigata Folgore, si fece strada all'interno
dell'organizzazione, guadagnando prestigio e rispetto nel corso della
seconda guerra di mafia.
Con l'avvento dei corleonesi al potere, divenne il nuovo capomandamento di Santa Maria di Gesù e un influente membro della
Cupola. Nel
1995 il giornale britannico The Guardian lo indicò, provocatoriamente,
come l'italiano più conosciuto al mondo. In questi ultimi anni Pietro
Aglieri ha occupato i posti di vertice dell'organizzazione e ha stretto
un patto di alleanza con
Bernardo Provenzano
per la ricostruzione di Cosa Nostra, indebolita dall'arresto dei capi
storici della fazione corleonese e dal proliferare dei pentiti
(collaboranti di giustizia). E' stato arrestato, dopo otto anni di
latitanza, alla periferia di
Bagheria, a Palermo, il 6/6/1997.
Subito dopo la cattura, suscitò scalpore il ritrovamento nel suo covo di una piccola cappella votiva e di numerosi testi sacri e
filosofici:
l'atteggiamento remissivo e vagamente mistico alimentarono le voci di
un possibile pentimento ma il caso si sgonfiò dopo pochi giorni.
Già condannato allergastolo per l'omicidio del giudice della Corte di
cassazione Antonino Scopelliti (9 agosto 1991), è imputato nel processo
per l'omicidio del parlamentare europeo democristiano Salvo Lima e in
quelli per le stragi di Capaci e via D'Amelio.
Leoluca Bagarella detto Luchino, fratello di Antonietta, la moglie di Salvatore
Riina, nacque il 3 febbraio del 1942 a Palermo. A partire dagli anni Sessanta, fu un
esponente di primo piano dei corleonesi e uno tra i killer più
spietati.
I legami con i clan della camorra napoletana, per l'organizzazione del
traffico di tabacchi e stupefacenti, gli costarono le prime
incriminazioni. Nel 1969 il fratello Calogero rimase ucciso nella
strage di viale Lazio. Sul finire degli anni Settanta il commissario
Boris Giuliano lo braccò per tutta Palermo, sequestrando, a Punta
Raisi, una valigia con il pagamento in dollari di una partita di droga
e infine scoprendo il suo covo. Era troppo per Bagarella che lo uccise
a sangue freddo in un bar palermitano, la mattina del 21 luglio 1979.
Nel settembre dello stesso anno venne arrestato e rinchiuso
all'Ucciardone, dove rimase per quattro anni. Nel 1986, alla vigilia
del maxiprocesso, fu tratto in manette su disposizione del giudice
Falcone e rimase in carcere fino al dicembre del 1990. Latitante di
nuovo dal 1992,
dopo l'arresto di Riina, divenne uno dei più importanti boss di Cosa Nostra, dopo uno scontro con il clan
Aglieri, dal quale uscì vincente.
La sua latitanza ebbe termine il 24 giugno 1995, quando venne arrestato
dalla DIA. Oltre alle contestazioni relative agli omicidi di numerosi
rappresentanti delle istituzioni, avvenute nel corso degli ultimi
decenni, Bagarella è anche accusato di essere tra i registi occulti
delle stragi del 1993.