Leonardo Messina, detto "Narduzzo" nacque a San Cataldo, in provincia
di Caltanissetta il 22 settembre 1955. Cresciuto in una famiglia di
modeste condizioni e di tradizione mafiosa, Messina lasciò la scuola
dopo la licenza elementare e, ancora giovane, diede il via alla sua
carriera di criminale con alcuni furti.
Francesco Marino Mannoia è nato a Palermo il 5 marzo 1951, soprannominato Mozzarella o anche il
chimico. Suo padre era un mafioso della famiglia di Santa Maria di
Gesù.
Nonostante fosse tra i picciotti più fidati di Stefano Bontade, alla sua morte passò con i clan vincenti, per i quali raffinò centinaia di partite di
eroina. Dopo l'uccisione del fratello Agostino, nell'ottobre 1989, iniziò la sua collaborazione con le autorità
giudiziarie. Fu il primo collaboratore di giustizia a provenire dalle fila dei clan
vincenti. Nel mese di novembre dello stesso anno la mafia, per intimidirlo, uccise la madre, la sorella e la
zia.
Al maxiprocesso venne condannato a diciassette anni di reclusione.
Attualmente vive con la sua compagna e i figli sotto la protezione dell
'FBI, in seguito alle deposizioni rese nei tribunali
americani. E' tra i principali testi d'accusa contro Giulio Andreotti.
Gaspare Mutolo è nato a Palermo il
5 febbraio 1940, Gaspare Mutolo, detto "Asparino" crebbe tra i vicoli
di Pallavicino e le borgate di Mondello e
Partanna. Abbandonata la scuola, iniziò a lavorare come meccanico in
un'officina e quasi contemporaneamente si dedicò ai primi furti di
macchine. Fin da giovane venne a contatto con la realtà mafiosa, dal
momento che alcuni suoi familiari erano membri effettivi
dell'organizzazione. Nel 1965 finì in carcere per la prima volta per
furto.
All'Ucciardone conobbe Salvatore Riina, allora boss emergente della mafia della
provincia:
dividendo la cella con il futuro "capo dei capi", Mutolo venne a
conoscenza dei segreti di Cosa Nostra e, su suo invito, si mise sotto
l'ala protettiva di Rosario "Saro"
Riccobono, il capo della famiglia di Partanna Mondello. Dopo qualche
anno di apprendistato, Mutolo fu "combinato" da Riina nel 1973 a
Napoli, durante una riunione nell'abitazione del camorrista Lorenzo
Nuvoletta. Ufficialmente affiliato alla famiglia di Partanna
Mondello, divenne presto il braccio destro di Riccobono e
uomo di fiducia di Riina per incarichi delicati. Mutolo si fece quindi largo nell'organizzazione mafiosa, prima come
killer e poi come trafficante di droga, grazie anche al rapporto di
amicizia stretto in carcere con il trafficante Koh Bak
Kin, originario di Singapore e attivo lungo le rotte del sud est
asiatico. Arrestato ancora nel 1976 e poi nel 1982, finì per alternare
periodi più o meno lunghi di detenzione nelle carceri italiane ad altri
in cui fu sottoposto a provvedimenti di soggiorno obbligato in Toscana.
Durante una delle sue detenzioni, fu compagno di cella di
Luciano Liggio;
successivamente rivelò agli inquirenti di essere lui l'autore delle
tele attribuite all'estro pittorico del vecchio padrino di
Corleone. La simpatia istintiva nutrita da Riina nei suoi confronti
permise ad
"Asparino" di salvare la vita, quando, nel novembre del 1982, Riccobono
e altri uomini della cosca di Partanna Mondello furono eliminati perché
ritenuti ormai del tutto inutili per i fini egemonici perseguiti dai
corleonesi. Per alcuni anni Mutolo ebbe anche l'onore - onere di essere
l'autista di fiducia e il guardaspalle personale del nuovo capo di Cosa
Nostra. Al termine del primo maxiprocesso istruito dal pool di Falcone e
Borsellino, fu condannato a sedici anni di reclusione.Nel dicembre del 1991, Mutolo, ormai rinchiuso nel carcere di Spoleto, maturò la decisione di
collaborare con la giustizia e,
dopo la strage di Capaci, si rafforzò nella convinzione di dover
rompere definitivamente con Cosa Nostra. Fu per questo che, a partire
dall'estate del 1992, rese le sue dichiarazioni prima al procuratore
della repubblica di Firenze Pierluigi Vigna e poi al giudice Paolo
Borsellino, a pochi giorni dalla strage di via D'Amelio. L'insieme
delle sue deposizioni fu subito giudicato straordinariamente
importante, perché frutto delle
rivelazioni ricevute direttamente da alcuni dei più influenti boss della Commissione di Cosa
Nostra.
Mutolo parlò del ruolo di mediatore tra politica e mafia svolto da
Salvo Lima e confermò anche le responsabilità di Giulio
Andreotti. L'uccisione di Lima, secondo Mutolo, fu un segnale che la
mafia volle inviare al senatore a vita, a seguito della conferma
dell'impianto accusatorio del primo maxiprocesso. Destarono clamore
anche le sue rivelazioni sulle presunte collusioni con le cosche di
alcuni magistrati palermitani, tra cui Carmelo Conti, Pasquale
Barreca, Domenico Mollica, Francesco D'Antoni e Domenico Signorino,
pubblico ministero al primo maxiprocesso e morto suicida il 3 dicembre
1992, proprio a seguito della pubblicazione sulla stampa di alcune
indiscrezioni relative ad un suo coinvolgimento nelle confessioni di
Mutolo. L'ex mafioso di Partanna Mondello fu inoltre
uno dei principali testimoni di accusa a carico del questore
Bruno Contrada, distaccato al SISDE, dopo una carriera iniziata nella squadra mobile di Palermo e continuata poi nelle file della Criminalpol.
Giuseppe Calò, soprannominato "la salamandra" per la capacità di uscire indenne dalle
situazioni più scottanti, proprio come l'anfibio, il boss mafioso
Giuseppe Calò, nacque a Palermo il 30 settembre 1921, figlio di un
macellaio e barista. Inizialmente, il giovane si cimentò nelle medesime
professioni del genitore, fino a quando, non ancora diciottenne, si
distinse per aver inseguito e ferito a colpi di pistola l'assassino
dello stesso padre. Dopo un brillante apprendistato come "soldato", nel
1969 coronò la carriera all'interno dell'organizzazione, divenendo il
capo del potente mandamento di Porta Nuova. All'inizio degli anni Settanta, si trasferì a Roma
dove, sotto la finta identità di Mario
Agliarolo, antiquario di professione, fece numerosi investimenti nel
settore edilizio e riciclò, per conto delle cosche, una così gran
quantità di denaro da guadagnarsi, in poco tempo, l'appellativo di
"cassiere di Cosa Nostra".
Luciano Liggio, per gli amici Lucianeddu, detto anche la primula rossa, nacque a Corleone il 6 gennaio 1925. Ancora giovane
campiere,
prese il posto del vecchio capo mafia Michele Navarra e
guidò i corleonesi all'assalto della città di Palermo, in aperta sfida al predominio delle altre famiglie di Cosa
Nostra.
Oltre alla conquista dei mercati illegali, si arricchì con lo
sfruttamento delle opere di edilizia urbana, pubblica e privata,
facendo leva sul rapporto preferenziale con il politico Vito
Ciancimino, assessore e sindaco di Palermo in quegli anni del sacco
della città. Non esitò mai ad eliminare i tanti ostacoli che gli si
pararono dinanzi, dal sindacalista Placido
Rizzotto, scomparso il 10 marzo del 1948, al capo mafia di Corleone
Michele
Navarra, ucciso il 2 agosto 1958. Fu arrestato la prima volta il 14
maggio del 1964.Pagina 27 di 76