La mitica Assemblea Regionale Siciliana ne ha fatta un'altra
delle sue. Nel mirino del giornalista del corriere Gian Antonio Stella finisce la legge approvata il 3 marzo scorso
all'Ars e già pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale che salvaguarda,
sostanzialmente, i deputati regionali che godono di doppi incarichi.
Qui a Messina abbiamo esempi illustri. La "leggina ad hoc", come la chiama il grande Bastiano Caspanello nelle pagine di tempostretto, si è manifestata dopo il pronunciamento del Tribunale
di Palermo in merito al ricorso presentato dal primo dei non eletti
dell'Udc, Antonino Reitano.
Reitano, come spiega l'avvocato che lo ha assistito, l'ex assessore
della giunta Genovese Antonio Catalioto, ha sollevato la
questione di costituzionalità della legge del dicembre del 2007 che
aboliva l'incompatibilità tra le cariche in questione, e il Tribunale,
ritenendo fondato il ricorso, ha trasmesso tutti gli atti alla Corte
costituzionale.
«Nel caso in cui venga accertata l'incompatibilità, dalla definitiva
deliberazione adottata dall'Assemblea, decorre il termine di dieci
giorni entro il quale l'eletto deve esercitare il diritto di opzione a
pena di decadenza. Ove l'incompatibilità sia accertata in sede
giudiziale, il termine di dieci giorni per esercitare il diritto di
opzione decorre dal passaggio in giudicato della sentenza».
Nell'articolo 1 ter si legge : «Le
disposizioni si applicano anche ai giudizi in materia di
incompatibilità in corso al momento di entrata in vigore della presente
legge e non ancora definiti con sentenza passata in giudicato». In
parole semplici, spiega sempre Catalioto, «nel caso in cui venga
sollevata una questione di incompatibiltà, il deputato avrà dieci
giorni di tempo per optare tra una delle cariche, ma solo da quando la
sentenza sarà passata in giudicato». Dunque, nel caso in questione, a
mandato già bello e ultimato. Cosa ben diversa accade nel resto
d'Italia, dove «la norma prevede che si opti per una delle cariche
entro dieci giorni dalla notifica del ricorso», qualcosa di simile a
quanto succedeva anche in Sicilia fino alla modifica della legge decisa
il 3 marzo: qui il deputato optava entro 30 giorni dalla notifica.
La legge è già pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale e dunque esecutiva,
anche se ci sarebbero tre mesi di tempo per opporsi con eventuali
referendum. Ma a chi converebbe mettersi di traverso? Basti guardare
l'esito della votazione in aula: 57 favorevoli, 3 contrari (tutti del
Pd, tra cui il messinese Filippo Panarello) e dieci astenuti. Una trasversalità che la dice lunga.
I complimenti a Caspanello che non finisce mai di sorprenderci.
Il prof. Umberto Santino, del Centro di documentazione Peppino Impastato, sugli interessi che ruotano attorno all'opera scrisse la prefazione al testo "I Padrini del Ponte" che da diverso tempo è alla ricerca di un editore che "abbia il coraggio" di pubblicarlo. Il testo presenta un intreccio di interessi che girerebbero attorno alla costruzione del "magna opera". Un intrigato racconto di quel che il ponte è, o sarà, per chi di soldi da investire ne ha tanti, ma proprio tanti.
Solo pizzi e dintorni? Sul ruolo che la mafia, le mafie, potrebbero avere nella costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina sono apparsi in questi ultimi anni articoli, resoconti di ricerche e di inchieste, considerazioni all’interno delle relazioni della Direzione investigativa antimafia. Eppure il quadro che emerge da gran parte di queste prese di posizione può considerarsi inadeguato. Poiché inadeguata è l’idea di mafia che sta alle loro spalle. Una mafia che al più potrebbe esercitare la vecchia pratica dell’estorsione-protezione, rispolverata da analisi di successo, nonostante la loro evidente infondatezza o parzialità; potrebbe accaparrarsi subappalti, fornire materiali, reclutare manodopera, lucrare in mille modi ma comunque limitarsi a un ruolo parassitario-predatorio. Questo libro, sulla base di una documentazione rigorosa, dà un’immagine diversa, poiché parte da un’idea di mafia molto più complessa. Non solo e non tanto la cosiddetta “mafia imprenditrice” di cui si è parlato a partire dagli anni ‘80, in base a un’analisi frettolosa e superficiale, ma una mafia finanziaria, forte di un’accumulazione illegale sviluppatasi esponenzialmente e quindi in grado di giocare un ruolo da protagonista e non da parente povero dei grandi gruppi imprenditoriali.
La stampa ha parlato di personaggi come l’anziano ingegnere Zappia, ma scorrendo le pagine di questo libro si incontrano gruppi e figure che non lasciano dubbi sulla loro natura e sulle loro intenzioni. In primo luogo la mafia siculo-canadese, dagli storici Caruana e Cuntrera a Vito Rizzuto, poi i signori del petrolio, tutti personaggi indicati con nomi e cognomi e sulle cui disponibilità finanziarie non si possono nutrire dubbi. E questo campionario non è il frutto di una sorta di chiamata di correo general-generica ma poggia sulla base di relazioni ricostruite con puntigliosa precisione attraverso una documentazione che privilegia le fonti giudiziarie, anche se non definitive.
l quadro che emerge dall’inchiesta è uno spaccato significativo del capitalismo reale contemporaneo, in cui l’accumulazione illegale convive con quella legale, accomunate da processi di finanziarizzazione speculativa per cui diventa sempre più difficile distinguere i due flussi. È una prospettiva indicata da tempo da chi scrive, per anni in sostanziale isolamento, e che a lungo andare si è presentata come la più adeguata per capire l’evoluzione dei fenomeni criminali e la permeabilità del contesto economico, politico e istituzionale. Il quadro si amplia ulteriormente se si considerano le vicende belliche recenti e in corso, che hanno fatto degli ultimi anni una micidiale mistura di violenze che consegnano un tragico testimone al nuovo millennio.
Qualche esempio: risulta che il Saudi Binladin Group opera congiuntamente con Goldman & Sachs che ha una partecipazione del 2,84 % in Impregilo, la società che si è assicurata la costruzione del Ponte, mentre un altro gruppo, l’ABN Amro, sempre in collegamento con la società della Famiglia Bin Laden, ha il 3%. Si dirà: i familiari di Osama non sono direttamente coinvolti nel terrorismo islamico, ma i movimenti islamisti radicali che si ispirano al wahhabismo contribuiscono a costruire e diffondere un credo identitario che costituisce il contesto ospitale per scelte che portano in quella direzione. E gli affari sono affari per tutti, anche se ci si trova ad operare in schieramenti contrapposti. Al di là di credi religiosi, di fedi politiche, il business è una sorta di dio unico di un monoteismo devotamente praticato da chi ha capitali da investire e interessi da far valere.
Più che di accoppiamenti forzati si deve parlare di matrimoni consensuali. Tutto questo si consuma in un contesto, come quello in cui viviamo, in cui l’illegalità è una risorsa, la sua legalizzazione è un programma, l’impunità è una bandiera e uno status symbol. E il consenso non manca. Un’opera come il Ponte, nonostante le voci contrarie, coniuga perfettamente interessi mirati e diffusi. Fa da collante per una formazione sociale che ha radici storiche e ottime prospettive di futuro. Il libro di Mazzeo delinea questo percorso e rilancia l’allarme. Come tale si inserisce in un dibattito che ha conosciuto momenti significativi ma che da qualche tempo si è assopito. Ed è assente, o quasi, proprio ora che ci si prepara alla liturgia della prima pietra. Quel che mi sembra vada sottolineato è che non si tratta di sposare una visione secondo cui qualsiasi opera, grande o piccola che sia, vada esorcizzata, in nome di un fondamentalismo ambientale che vuole, riuscendoci o meno, sbarrare il passo a qualsiasi intervento umano su una natura che da millenni è ben lontana dall’essere incontaminata. L’ambientalismo non può essere ridotto a una sequela di no, ma dovrebbe essere capace di porsi come alternativa, praticabile e concreta. Ed è proprio questa alternativa che, dopo il crollo delle grandi narrazioni, è venuta a mancare, anche se non mancano proposte credibili. Ma è il quadro generale che non c’è. E non vuol dire neppure bloccare i lavori non appena si sente odore di mafia. Un’opera pubblica, piccola o grande che sia, se è utile, se è necessaria, va fatta e se la mafia cerca di metterci le mani bisogna fare di tutto per tagliargliele. Se c’è la volontà di farlo, è possibile: dovrebbe essere chiaro che non esiste nessuna Piovra, inconoscibile e imbattibile.
Pochi mesi è durato l'autovelox piazzato al Canneto nella zona di Mili Marina. Infatti, stanotte è stato dato alle fiamme il dispositivo di rilevamento della
velocità. Lo strumento costringeva gli automobilisti a non superare una velocità di 50 km/h e, mesi scorsi,
lo stesso macchinario che rilevava le infrazioni solo in direzione
Catania-Messina, era stato vittima di altre atti vandalici. Erano state oscurate, con della vernice nera, le lenti che
servono a riprendere e scattare la foto sulla targa della vettura
troppo veloce. Evidentemente non stava simpatico ai più questo mostruoso strumento rilevatore che serve a far cassa ad un comune in dissesto.
Migliaia sono state in questi mesi le infrazioni rilevate visto che il limite di 50 Km/orari difficilmente può essere rispettato in un tratto di strada che si definisce a "scorrimento veloce" e che per la sua larghezza e visibilità difficilmente invoglia l'automobilista ad alzare il piede dall'accelleratore. Si pensi che il dispositivo in pochi mesi ha rilevato circa 10.000 infrazioni.
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